Ricerca e sviluppo: l'Italia spende solo l'1,35% del Pil, fanalino di coda dell'Unione

Ricerca e sviluppo: l'Italia spende solo l'1,35% del Pil, fanalino di coda dell'Unione
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Giovedì 7 Novembre 2019, 16:26
L'Italia investe poco nella ricerca, confermandosi fanalino di coda dell'Unione. Il nostro Paese destina alla ricerca solo l'1,35% del Pil contro una media europea del 2,7%. È uno dei dati che emerge dal Libro Bianco «Il valore della ricerca clinica indipendente in Italia» realizzato dalla Fondazione Fadoi (Federazione dei dirigenti ospedalieri internisti) e dalla Fondazione Roche, in collaborazione con Sda Bocconi e presentato a Roma presso il Nobile Collegio Chimico Farmaceutico.

Il volume dipinge una situazione allarmante dello stato di salute della ricerca italiana. Il 95% della spesa per ricerca e sviluppo è a carico di aziende private. A ciò si aggiunge che il numero delle sperimentazioni cliniche negli ultimi otto anni si è ridotto del 50%. Ancora minore è l’impegno nei confronti della ricerca clinica, che ha nella cura delle malattie l’obiettivo primario. Dai dati elaborati dal Cergas-SDA Bocconi, emerge che nel 2016 i finanziamenti per la ricerca clinica sono ammontanti a oltre 788 milioni di euro, di cui il 7,5% erogato dallo Stato, l’89% dalle aziende private e il resto da fondi UE e dai cittadini tramite il 5 per mille. Nel 2017, sul totale di circa 753 milioni, la quota a
carico dello Stato (attraverso AIFA e Ministero della Salute) è scesa all’1%, mentre il contributo delle aziende
è salito al 95,86%. In media negli ultimi cinque anni (2014-2018) le imprese hanno finanziato il 92% della ricerca clinica mentre il contributo pubblico è stato del 4%.

Eppure, il settore della ricerca contribuisce in modo significativo all’economia del Paese, con posti di lavoro qualificati, alto livello di conoscenza, miglior benessere della popolazione. I calcoli sui margini economici per il sistema sanitario nazionale, derivanti dalla partecipazione di aziende ospedaliere pubbliche alla sperimentazione
clinica sponsorizzata dall’industria farmaceutica, indicano un effetto moltiplicatore di 1 a 2,2 (ogni euro pagato dallo sponsor per compensi e fornitura di farmaci vale 2,2 euro per il Ssn), generando risparmi per costi pubblici evitati che potrebbero essere reimpiegati nella ricerca non-profit.

Un'ulteriore svolta negativa per questo settore potrebbe derivare dal decreto legislativo n. 52/2019, attuativo della legge n. 3/2018 (c.d. Legge Lorenzin). Il decreto per garantire la mancanza di conflitti di interesse degli scienziati sperimentatori con l’azienda titolare del farmaco oggetto di studio, impone «l’assenza di rapporti di dipendenza, consulenza o collaborazione, a qualsiasi titolo, con il promotore». Il volume sottolinea che, nel settore della ricerca medica, le collaborazioni pubblico-privato sono molto diffuse, e consentono di raggiungere obiettivi difficilmente ottenibili in altro modo.