«Il Reddito di cittadinanza è una stortura, serve un patto scuola-imprese», l'intervista a Giovanni Brugnoli

Il vicepresidente di Confindustria: «Più sinergie per creare nuove professionalità»

Brugnoli: «Il Reddito è una stortura, serve un patto scuola-imprese»
di Umberto Mancini
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Mercoledì 3 Novembre 2021, 00:31 - Ultimo aggiornamento: 06:28

«Oggi abbiamo tanti giovani disoccupati e tanti posti vacanti. Un vero paradosso riconducibile principalmente a due ragioni: la prima è che progressivamente il mondo educativo e quello delle imprese si sono allontanati. E la seconda è che, nonostante le richieste e delle imprese, è mancato un orientamento scolastico mirato alle nuove professioni. Ora serve un nuovo rinascimento educativo, un patto scuola-aziende, per recuperare il tempo perduto».

Giovanni Brugnoli, vice presidente di Confindustria con la delega al Capitale umano, va dritto al punto. «Certo - dice al Messaggero - l’arrivo del Reddito di cittadinanza ha creato ulteriori storture, perché da una parte il sussidio ha disincentivato molti giovani a cercare un impiego e, dall’altra, non ha favorito l’incrocio tra domanda e offerta.

Un ruolo, questo, per cui era stata istituita la figura del navigator e che, con ogni evidenza, non ha centrato l’obiettivo. Mi auguro che le modifiche introdotte cambino questa tendenza, ma non basta. Servono anche politiche attive efficaci per creare nuove competenze e formare chi ha bisogno di acquisire conoscenze e professionalità diverse».

Pietro Salini e l’Ance hanno parlato esplicitamente di circa 260 mila posti vacanti nel solo settore delle costruzioni, mentre i dati sulla disoccupazione sono allarmanti. Come è possibile questa situazione? In molti non vogliono lavorare?

«E’ un paradosso. Basti pensare che c’è un 30% stabile di disoccupazione giovanile e che sono due milioni i giovani che non cercano più lavoro. Ripeto che su questo fronte l’introduzione del Reddito non solo non ha agevolato la creazione di posti ma anzi, ha complicato la situazione. I sussidi da soli non servono e creano alibi».

Ma come se ne esce? Ci sono i fondi del Pnrr, il governo Draghi che punta sulla crescita...

«Un primo passo importante è quello di modificare le regole per il Reddito introducendo il principio della condizionalità. Rifiutare un’offerta di lavoro, infatti, è una scelta che deve incidere sul diritto al sussidio. In questo quadro un ruolo importante deve averlo anche la famiglia che deve spingere i ragazzi ad impegnarsi, a studiare e a formarsi per trovare un impiego».

Ma le imprese si mettono in gioco?

«Da tempo sollecitiamo politiche attive più efficaci per il mondo del lavoro e collaboriamo con università, scuole e istituti tecnici per sviluppare processi formativi in grado di rispondere alle esigenze del mondo della produzione. Stiamo anche facendo un censimento per evidenziare i settori dove manca il personale, ma le posso già anticipare che la carenza riguarda tutti i comparti: dalla meccanica al tessile-abbigliamenti, dalla chimica all’alimentare, fino alla nautica, all’arredo legno. Mancano ingegneri, laureati in indirizzo chimico e farmaceutico e diplomati degli Its nelle aree tecnologiche, esperti in scienze matematiche, fisiche, informatiche. Per questo vanno potenziate le scuole e i laboratori di ricerca. E solo il mondo delle imprese può fornire un quadro chiaro su ciò che serve per avere un Paese all’avanguardia sia sul fronte degli investimenti - e grazie al Pnrr i fondi non mancano - che su quello delle conoscenze».

Ma allora ci dice la ricetta per colmare il gap oltre al taglio secco dei sussidi?

«Per programmare il futuro servono formazione continua e una scuola con una visione di lungo respiro. Investire nel capitale umano implica avere una scuola moderna, che attragga i giovani e li formi per proiettarli nel mondo del lavoro. Serve responsabilità sia da parte dei giovani che delle famiglie perché prepararsi, studiare, aggiornarsi e aprire la mente richiede fatica e sacrificio. Non esistono altre strade, tantomeno scorciatoie. Mai come adesso la congiuntura è favorevole per cambiare mentalità, premiando il merito di chi si mette in gioco e punta su se stesso e sulla propria professionalità». 

Concretamente cosa chiedete al governo?

«Il cambio di passo sul reddito va nella direzione giusta, è un buon inizio. Ma per completare il quadro bisogna fare dell’altro. Ad esempio, per quella fascia di popolazione non più giovanissima che non lavora ma che potrebbe farlo e vive con il sussidio di disoccupazione, bisogna immaginare percorsi formativi per acquisire nuove conoscenze, aggiornando quelle che si possiedono o ottenendone delle nuove. Avere un curriculum aggiornato, in linea con la domanda del mondo produttivo deve essere il primo obiettivo. E poi anche il governo deve fare la propria parte».

Come?

«Mettendo tra i vari strumenti della cassetta degli attrezzi anche una sorta di decontribuzione per le aziende che assumono personale dopo averlo riqualificato in maniera adeguata».

Ma c’è il rischio che, nonostante il vento della ripresa, le aziende vengano penalizzate dalla mancanza di personale? Insomma, che ci siano progetti, soldi per realizzarli, ma non braccia e teste per renderli concreti?

«Come le dicevo, bisogna agire proprio per evitare questo rischio. Altrimenti si esce dal mercato e si perde l’occasione storica del Pnrr combinata alla forte ripresa in atto. Salini ha ragione ad aver lanciato l’allarme, ora sta anche al governo incentivare le politiche di riqualificazione. Come Confindustria ci siamo messi a disposizione per favorire il dialogo scuola-lavoro, suggerendo un percorso per incentivare sinergie e identificare nuovi sbocchi professionali».

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