Recovery plan pronto per l'Ue, Draghi stringe sul piano: nessun ritardo

Recovery plan pronto per l'Ue, Draghi stringe sul piano: nessun ritardo
di Andrea Bassi
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Lunedì 19 Aprile 2021, 07:31 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 00:13

La voce rimbalza da Bruxelles a Roma. E piomba come un macigno sulla quiete domenicale di Palazzo Chigi. L'Italia, batte l'agenzia internazionale Reuters, potrebbe non farcela a consegnare in tempo per il prossimo 30 di aprile il Recovery plan alla Commissione europea. Fosse vero, per il governo sarebbe un doppio smacco. Primo, perché il governo guidato da Mario Draghi è nato con scritto nel suo codice genetico la missione di spendere bene i 200 e passa miliardi dei fondi europei per la ripresa. Secondo per le ragioni che, secondo la Reuters, starebbero rallentando il lavoro sul Recovery italiano.

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In sostanza la Commissione avrebbe espresso più di un dubbio sulla qualità del piano. Messa così, suonerebbe come una bocciatura senza appello dell'esecutivo guidato dall'ex presidente della Banca Centrale. Palazzo Chigi si è affrettato a smentire, e con una particolare forza, la notizia. «L'Italia presenterà puntualmente il 30 aprile il Piano nazionale di rilancio e resilienza», hanno fatto sapere fonti della Presidenza del Consiglio. La road map indicata da Draghi, hanno aggiunto le stesse fonti, è confermata: Draghi illustrerà il piano alle Camere il 26 e 27 aprile e prima di quella data ci sarà un passaggio in Consiglio dei ministri.

La conferma che l'Italia non mancherà la scadenza del 30 aprile è arrivata anche da fonti della Commissione europea. «Da diverse settimane», ha fatto sapere Bruxelles, «lavoriamo intensamente con i governi per ultimare i piani nazionali, lavoro definito da due priorità: qualità e urgenza. La Commissione riceverà diversi piani nazionali entro la scadenza del 30 aprile e il piano italiano sarà tra quelli, anche perché questa è l'intenzione esplicita del governo».


I DUBBI
Ma da dove erano nati i dubbi sul rispetto delle scadenze da parte dell'Italia? Il primo a parlare di possibili slittamenti nella presentazione dei piani, era stato venerdì scorso Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione, iscritto al partito dei falchi. «Alcuni piani di rilancio sono più avanzati di altri», aveva detto. «Meglio prendersi una settimana in più o due per fare buoni progetti, piuttosto che concentrarsi sulle scadenze». Una dichiarazione apparentemente neutra, ma che ha subito acceso i riflettori sull'Italia, prima beneficiaria del piano europeo. Se la presentazione slittasse, slitterebbe anche il primo acconto di 23 miliardi atteso da Roma tra luglio e agosto. Sarebbe un segnale che potrebbe mettere in agitazione i mercati finanziari, soprattutto dopo l'approvazione del Def che ha certificato come quest'anno il debito pubblico schizzerà a un passo dal 160%.


LA STRATEGIA
Draghi sa di dover parare questi colpi. La sua lunga esperienza alla guida della Bce lo ha ben preparato. Così in questa settimana darà segnali di accelerazione sul piano. Domani vedrà i sindacati per illustrare i piano. Presto sarà definita anche la governance, il meccanismo di gestione dei fondi. Sarà approvato un decreto ad hoc. Ci saranno due livelli, strettamente legati tra di loro. Una struttura di coordinamento centrale supervisionerà l'attuazione del piano e sarà responsabile dell'invio delle richieste di pagamento alla Commissione Europea, a seguito del raggiungimento degli obiettivi previsti.

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Accanto a questa struttura di coordinamento, agiranno una struttura di valutazione e una struttura di controllo. Le amministrazioni saranno invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme. Invieranno i loro rendiconti alla struttura di coordinamento centrale, per garantire le successive richieste di pagamento alla Commissione Europea. Saranno costituite delle task force locali che aiuteranno le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure. L'Italia nei prossimi sei anni dovrà spendere 237 miliardi. Ai fondi del Recovery si aggiunge anche il fondo nazionale appena finanziato in deficit dal governo. L'impatto sul Pil di questa massa di investimenti, secondo il Def, sarà del 3,6 per cento.

 

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