Lo scontro istituzionale che vede da una parte il Consiglio europeo, in rappresentanza dei 27 governi dell’Unione, e dall’altra l’Europarlamento, chiamato ad approvare il bilancio comune, non va sottovalutato. Giusto per arrivare subito al punto, un ritardo nell’accordo sul budget 2021-2027 porterebbe automaticamente a un ritardo nell’entrata in funzione del corposo pacchetto di aiuti per la ripresa, a cominciare dal Recovery Fund che è parte integrante di quel bilancio.
Non a caso ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lanciato un energico invito all’Europa affinché vengano accelerati i lavori nel cantiere del bilancio Ue. In verità, non siamo ancora alla rottura negoziale, ma il braccio di ferro in corso, che di fatto blocca ogni confronto fino a che una delle due parti non avrà assunto posizioni meno rigide, non suggerisce sonni tranquilli.
L’indurimento della posizione degli eurodeputati è legato al mancato compromesso sulla destinazione delle risorse in bilancio, visto che il Consiglio non intende aumentare i massimali degli impegni assunti. Sicché alcuni capitoli di spesa dovranno necessariamente essere rivisti, probabilmente sacrificando programmi-faro ritenuti fondamentali dal Parlamento Ue, come l’Erasmus o il sostegno alla ricerca, gli asili, la politica di vicinato. E questo l’Eurocamera non intende accettarlo, anzi chiede nuove risorse rispetto ai 1.075 miliardi fissati dal Consiglio a luglio oltre alla partecipazione alla governance del Recovery, cioè alla distribuzione delle risorse che il fondo metterà a disposizione di ogni singolo Paese.
In verità, se non fosse per l’eccezionalità della circostanza - l’impegno monstre assunto dall’Europa per sostenere i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia - si potrebbe pensare agli scambi muscolari cui l’Europarlamento ci ha abituato ad ogni approvazione del bilancio preventivo. Ma la presenza del Recovery Fund nel documento invita a seguire con orecchio più attento i lavori in corso tra Strasburgo e Bruxelles. Un ritardo marcato non solo significherebbe un allontanamento del processo di perfezionamento del Recovery, ma suonerebbe come un segnale allarmante in previsione dei passi successivi per la sua attivazione.
Va infatti ricordato che sia il bilancio Ue che il Recovery Fund, per dispiegare i loro effetti richiedono che la decisione sulle nuove risorse apportate da ogni singolo governo venga ratificata dai Parlamenti di tutti i 27 Stati membri, quasi fosse una modifica dei Trattati.
L’Olanda, per esempio, sui sostegni a fondo perduto non ha mai davvero sepolto l’ascia di guerra anche a causa della instabilità del governo guidato da Mark Rutte. Che, si ricorda, è nei fatti un governo di minoranza: difficile immaginare che quando sarà il momento del voto non rispunti l’intransigenza della Camera Alta, che ha già dimostrato assai scarsa considerazione «per i Paesi che non hanno messo ordine nella loro contabilità». E se non dovesse approvare l’Olanda, addio possibilità per la Commissione Ue di indebitarsi, addio Recovery Fund e addio a quel “Nuovo Inizio” che in molti nel nostro Paese ora sventolano come una bandiera.
Tutto ciò non è pessimismo di maniera, è onesto realismo indotto da precedenti che dovrebbero fare riflettere chi guida il Paese, soprattutto di fronte alla recrudescenza del morbo che chiede interventi immediati. Continuando ad osteggiare il ricorso ai 37 miliardi messi a disposizione dal Meccanismo europeo di stabilità - che persino il governatore della Banca d’Italia ha sdoganato fugando ogni “pericolo di troika” - il governo Conte non solo si rende platealmente ostaggio di un’ideologia grillina di pura convenienza elettorale, ma si assume anche gravi responsabilità qualora davvero la macchina del Recovery Fund per un qualche motivo dovesse incepparsi o tardare la messa in moto: i mercati stanno a guardare, e alla lunga diventano impazienti.