Rebus Rete Unica, tanti nodi da sciogliere e "scarse sinergie"

Rebus Rete Unica, tanti nodi da sciogliere e "scarse sinergie"
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Martedì 29 Settembre 2020, 19:30
(Teleborsa) - Colmare il ritardo nel settore delle telecomunicazioni nel nostro Paese e migliorare la qualità delle connessioni ultraveloci (quelle interamente in fibra ottica): con questo duplice obiettivo, nei giorni scorsi, il Governo ha dato parere favorevole alla creazione di una società unica per gestire le infrastrutture della rete italiana a banda larga, che prevede l'integrazione delle reti di TIM e Open Fiber, la società controllata pariteticamente da Enel e CDP, con una limitazione del controllo di TIM e la governance di un soggetto terzo individuato in Cassa Depositi e Prestiti.

Il tema è tutt'altro che nuovo: sono ormai due anni che il dossier "rete unica" tiene banco nel settore delle tlc italiane, fra accelerazioni e frenate. E anche stavolta la strada sembra essere in salita.

"Si fa presto a dire rete unica. Se ne parla molto e da molto tempo tanto che tanti – forse prematuramente – la danno già per fatta. Purtroppo, il diavolo si nasconde nei dettagli. E dei dettagli della rete unica se ne parla poco, quasi per niente" . Lo scrive Francesco M. Sacco, docente di Digital economy presso l' Università dell'Insubria e SDA Bocconi che in un dettagliato intervento sul quotidiano online Italia Informa analizza punto per punto le questioni ancora aperte. Problemi che potrebbero essere risolti "senza le grandi manovre della rete unica" attraverso accordi commerciali o di co-investimento in specifiche aree del Paese per evitare duplicazioni di asset e quindi consentire alle due compagnie di abbattere i costi e concentrare gli investimenti su porzioni territoriali in cui si necessita di accelerare la posa della banda ultralarga in linea cioè con gli obiettivi del Governo che punta a superare il digital divide dotando il Paese di infrastrutture adeguate alle esigenze della digital economy, inserito nel quadro generale della ripresa post-Covid-19.

"Le differenze tra le due reti - scrive Sacco - "non sono né poche né piccole. La prima differenza è macroscopica. Open Fiber (OF) sta realizzando una rete di telecomunicazioni in fibra che non ha vincoli tecnologici con il passato. Pertanto, può sfruttare fino in fondo tutti i vantaggi tecnologici dati dalla fibra, che permette lunghi tratti, anche decine di chilometri, senza bisogno di ripetere il segnale. Ciò le consente di coprire l'intero territorio nazionale con meno di 2000 centrali, peraltro più piccole, con meno personale, più facili da gestire e più ecologiche rispetto a quelle di TIM che copre lo stesso territorio con 10.400 centrali avendo la sua rete in rame una distanza ideale tra centrale e utente finale di circa 1,4 km. Le cose, però, scrive il docente di Digital Economy "stanno cambiando e nel 2017 Tim ha lanciato un piano per ammodernare le sue centrali e chiuderne 6.000 entro il 2024" . Ma se "anche se il progetto venisse completato in tempo, i numeri e i costi resterebbero comunque un multiplo di quelli di OF".

La questione delle centrali non è l'unico nodo: richiamando uno studio di Arthur D. Little, Sacco ricorda che "una rete soltanto in fibra garantisce un tasso di guasti tra 2,5 e 15 volte inferiore rispetto ad una in rame; i costi di manutenzione sono tra 2,1 e 7,1 volte inferiori; il consumo energetico per il suo funzionamento è tra 2,2 e 6,7 volte più basso. Per questo, molti operatori che, come Tim, possiedono una rete nazionale (incumbent) in rame, hanno già da un po' avviato la migrazione (switch-off) verso le reti in fibra". In Italia però, i clienti attivi in fibra sono appena il 5%, ben lontani dalla soglia del 30% per area di centrale che renderebbe il processo economicamente sostenibile. "La rete in rame - scrive Sacco - dovrà rimanere in piedi ancora per molto tempo, con tutti i suoi vincoli, duplicando i costi rispetto alla rete in fibra e rendendo le telecomunicazioni italiane meno efficienti e affidabili. Questa migrazione, che potrebbe rallentare e complicare lo sviluppo della banda ultralarga, andrà fatta anche senza la rete unica. Essendo inevitabile una lunga coesistenza tra le due reti, è da capire come saranno suddivisi i costi e i risparmi di questa migrazione tra pubblico e privato ma anche con gli utenti finali".

E ancora: "Un'altra discrepanza sostanziale è che la rete di Open Fiber è pensata all'origine per offrire un servizio all'ingrosso e dare una rete autonoma fino a 20 operatori diversi per ogni area servita con la massima flessibilità. Ogni operatore può scegliere se avere suoi apparati in centrale, a casa dell'utente, comprare la sola fibra spenta o accesa da OF o anche l'interconnessione dalla centrale alla rete Internet. Al contrario, la rete in fibra ottica di TIM è stata fatta soprattutto per rispondere alle sue stesse esigenze e a quelle di Fastweb, che è comproprietaria al 20%, tramite una joint venture chiamata Flash Fiber, di tre quarti delle linee in fibra di TIM ma nel solo tratto che va dagli armadietti in strada (cabinet) fino a casa degli utenti (rete secondaria). In sostanza, la sua rete può dare lo stesso servizio di OF al massimo a 3 operatori, comprese TIM e Fastweb, servendo tutti gli altri in condivisione su una quarta fibra accesa da TIM o da Fastweb (Virtual Unbundled Local Access, VULA)".


Da ultimo, segnala ancora Sacco: "c'è una differenza nel territorio che vogliono coprire in fibra le due reti, la ragione principale per giustificare la necessità di una rete unica: evitare duplicazioni degli investimenti. Tim, stando al piano FiberCop, vuole coprire con fibra fino a casa il 100% delle aree nere, circa il 60% delle aree grigie, mentre nelle aree bianche ci sarà soltanto Fttc e soltanto per il 50% delle abitazioni. I piani di OF prevedono poco meno del 100% delle aree nere in Ftth incluse le aree industriali aggiunte con il recente aggiornamento del piano industriale e l'80% delle aree bianche, il resto sarà coperto con Fwa.

"Pertanto, la reale sovrapposizione tra le due reti in fibra – finora – si riduce a una parte delle aree nere. Tim come OF, non ha ancora cablato nulla nelle aree grigie. Quindi, in prospettiva, se le due aziende raggiungessero un accordo commerciale o di coinvestimento per le aree grigie, la loro sovrapposizione potrebbe restare limitata soltanto a quelle aree dove c'è già concorrenza infrastrutturale tra reti broadband e il problema sarebbe risolto senza le grandi manovre della rete unica".

In conclusione, che fare? si chiede Sacco che cita Franco Bernabè, ex amministratore delegato di TIM che ha guidato per sette anni in due riprese e conosce bene "Rete unica? Troppo tardi per realizzarla" ha dichiarato in una recente intervista al Sole 24. "L'integrazione comporta comunque costi rilevanti perché le due reti hanno architetture diverse" e le sinergie sarebbero quindi scarse. Chiunque fosse interessato alla vicenda è avvertito, conclude il docente.

(Foto: Alberto Adán / Pixabay)
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