Quaglia: «Crt aderisce al patto su Generali per creare più valore nel gruppo»

Quaglia: «Crt aderisce al patto su Generali per creare più valore nel gruppo»
di Rosario Dimito
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Domenica 19 Settembre 2021, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 14:57

«Aderiamo al patto per partecipare attivamente al piano industriale e all’elaborazione di una politica di maggiore sviluppo e creazione di valore del gruppo». Giovanni Quaglia illustra le motivazioni che hanno portato la fondazione Crt, di cui è presidente, ad aderire al patto di consultazione sulle Generali siglato dalla Delfin di Leonardo Del Vecchio e da alcune società riconducibili a Francesco Gaetano Caltagirone. Grazie all’apporto dell’1,232% dell’ente torinese, l’accordo parasociale si allarga e sale al 12,3%. «La nostra idea è di costruire, non di distruggere», prosegue Quaglia confermando una strategia di sistema che caratterizza da anni la gestione della Crt, una delle grandi fondazioni italiane, presente nel capitale di altri gangli vitali del mondo finanziario e industriale italiano con finalità di “collante”. 

Fondazione CRT, nel 2020 avanzo di oltre 55 milioni di euro nonostante pandemia

La precedente mossa 

Questo ruolo istituzionale viene garantito da Quaglia, docente di economia e direzione delle imprese a Torino che è al vertice dell’ente dal 2017 e riconfermato nel 2019 fino al 2023 all’interno di una governance con scadenze disgiunte (il cda è stato eletto a maggio 2021).

Quaglia è una figura di riferimento del mondo delle fondazioni, specie dopo l’addio di Giuseppe Guzzetti ed ha la leadership degli enti nel Nord-Ovest. Nel Leone di Trieste la fondazione torinese è presente da 11 anni, vi entrò in occasione della vendita obbligata da parte di Unicredit del 2,84% della compagnia come conseguenza dei “tagli” concordati con l’Antitrust per la fusione con Capitalia. Crt fondò Effeti, assieme alla Ferak che rappresentava una parte del mondo dell’economia veneta radunato attorno a Palladio, Amenduni, Finint, Veneto Banca: Effeti, un veicolo a controllo congiunto, acquisì il 2,26% di Generali, ricorrendo in parte (500 milioni) a un finanziamento bancario. L’alleanza nacque per stabilizzare gli assetti del Leone, a seguito dell’uscita forzosa di Unicredit di cui era (ed è) socio, evitando incursioni indesiderate, anche se alcuni anni dopo i soci preferirono sciogliere i vincoli, entrando in possesso diretto delle quote del capitale di Trieste. 

La seconda grande fusione

Le origini della fondazione piemontese risalgono alla proprietà della vecchia Cassa di risparmio di Torino a seguito della ristrutturazione delle banche pubbliche promossa dalla legge Amato del 1990; l’ente è stato fra i promotori della seconda grande fusione bancaria italiana (marzo 1998), dopo quella fra Ambroveneto e Cariplo che ha originato Intesa (1997). Si tratta di Unicredito Italiano, oggi Unicredit, che fu il risultato dell’integrazione fra Credito Italiano, Rolo Banca, Cassa di Torino, Cariverona e Cassamarca a cui, l’anno dopo, si aggregarono la Cassa di Trento e Rovereto e la Cassa di Trieste.

Una circostanza curiosa: alla regia di quel matrimonio partecipò l’allora trentacinquenne Andrea Orcel, già responsabile dell’investment bank di Merrill Lynch, e da aprile di quest’anno alla guida di Unicredit medesimo. In quell’operazione Orcel conobbe Del Vecchio che aveva partecipato alla privatizzazione del Credito Italiano presieduto da Lucio Rondelli (1993), entrando con l’industriale di Agordo in una sintonia che dura ancora oggi: non a caso il patron di EssilorLuxottica è stato tra i principali sponsor della sua nomina alla guida di Unicredit, dove peraltro la Crt ha mantenuto una quota dell’1,6%. Essa non è la sola di matrice bancaria nel portafoglio di Torino, visto che vi figura anche l’1,8% di Banco Bpm aderente a un patto di consultazione sul 6,2% stretto con Enpam e altri soggetti a supporto delle strategie manageriali. 

Il ruolo di stabilizzatore

Crt si muove sempre per tutelare gli assetti in una logica di sistema e per dare stabilità a società di rilevanza strategica. Come dimostra la decisione del marzo scorso di schierare il 5% in Atlantia al fianco del 30% di Edizione (con i Benetton i rapporti risalgono al 2000 in occasione della privatizzazione di Aspi tramite Schemaventotto), per creare le condizioni della vendita di Autostrade alla cordata Cdp, di cui Crt è da 18 anni uno degli azionisti principali. Infatti l’antivigilia di Natale 2003 ha fatto parte della cordata di 65 enti che acquistò dal Tesoro, per 1.050 milioni di euro, il 30% di Cdp, oggi ridottosi al 15,93%: l’ente piemontese è il quarto della cordata con l’1,5% e Quaglia è il presidente del comitato di supporto, l’organo della governance di Via Goito complementare al cda. Tutte le scelte di investimento sono avvenute con grande oculatezza, generando un patrimonio diversificato di 2,6 miliardi con un rendimento netto dell’8-9% che ne fa la terza fondazione italiana.

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