Pa, Brunetta: «Con la riforma subito 25 miliardi dalla Ue»

Pa, Brunetta: «Con la riforma subito 25 miliardi dalla Ue»
di Andrea Bassi
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Domenica 6 Giugno 2021, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 7 Giugno, 09:53

IN sottofondo un rumore metallico. «Non ci faccia caso», esordisce Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione, «sto potando le rose sfiorite perché ricrescano». Il giorno dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri della terza riforma che porta la sua firma in questa legislatura - quella sul reclutamento nella Pa, dopo i concorsi digitali e le semplificazioni - il ministro si gode un sabato pomeriggio di riposo. «Vorrei partire da una considerazione che nessuno ha ancora fatto», dice anticipando qualsiasi domanda. 

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Quale?
«Negli ultimi giorni abbiamo approvato due decreti che rappresentano, come li definisco io, i tre pilastri del Recovery: la governance e le semplificazioni amministrative, nel primo provvedimento, e il reclutamento del capitale umano, nel secondo.

Questi due decreti ci aprono non solo la cassaforte dei soldi, perché ci permetteranno di ricevere tra luglio e agosto i primi 25 miliardi del piano europeo, ma soprattutto ci aprono la cassaforte della credibilità».

La cassaforte della credibilità?
«Sì, perché abbiamo rispettato i tempi dettati dall’Unione europea per le prime tre riforme. E se l’Italia parte con il piede giusto ed è credibile nel fare le riforme e nello spendere i 200 e oltre miliardi del Recovery, riuscirà da subito ad attirare investimenti privati, interni ed esteri, con un moltiplicatore di 4 o 5 volte i fondi europei. Significa che in 5 anni avremo un impatto di mille miliardi sulla nostra economia e sul nostro Pil. Più di quanto ha fatto il piano Marshall nel secondo dopoguerra. Niente, per attirare gli investimenti, ha più successo del successo». 

L’economia, dicono Istat, Ue, Bankitalia, sta già andando meglio del previsto?
«Siamo quasi in boom economico senza aver ancora speso un euro del Pnrr. Per ora si tratta di un rimbalzo. Ma questo rimbalzo arriva in quella che potrebbe definirsi la fase di start up del Recovery. Su questo rimbalzo si innesteranno le riforme e gli investimenti previsti dal piano, che faranno da acceleratore. Prevedo che non solo quest’anno, ma anche il prossimo cresceremo attorno al 5%. Sarà un segnale fortissimo verso l’esterno, per il mercato privato, che moltiplicherà gli investimenti, consegnandoci ritmi di crescita sconosciuti nei decenni passati». 

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Senta, intanto dei tre pilastri la riforma del reclutamento è stata rimandata per giorni per gli appetiti di assunzioni dei ministeri frenati, si è detto, direttamente da Draghi…
«Le dico la verità: la resistenza non è venuta dai ministeri».

Da chi allora?
«Dai mondi della conservazione, dalla burocrazia: i nostri “mandarini cinesi”. E badi bene, non uso questo termine in senso dispregiativo. Per secoli sono stati grandi saggi e burocrati che hanno tenuto insieme la Cina, ma poi hanno perso la sfida con la modernità. Da noi c’è lo stesso rischio». 

Nel decreto c’è una norma che apre agli esterni le porte dell’alta dirigenza pubblica. Avete rotto un tabù?
«Prevedere che il 50% dei posti da dirigente di prima fascia sia messo a concorso, al quale possono partecipare sia interni sia esterni, è una norma che avevo già inserito nella mia riforma del 2009. Poi, finito il mio governo, è stata disattivata, lasciando spazio a una maggiore discrezionalità della politica. Alla Commissione europea è piaciuta molto, ci hanno chiesto di riproporla. È un modo moderno per aprire la Pa anche agli esterni, ma con una selezione pubblica rigorosa». 

Per i funzionari, invece, si apre la strada delle carriere interne?
«Il sistema era anacronistico. Un bravissimo funzionario per passare di area o diventare dirigente avrebbe dovuto chiedere un’aspettativa per studiare e partecipare a un concorso. A nulla valevano le capacità professionali dimostrate sul campo. Ora, invece, per chi un concorso pubblico lo ha già superato, introduciamo una progressione interna basata sul merito e sulla valutazione proprio di quelle capacità, che vogliamo esaminare anche per chi accede per la prima volta alla Pa. Analoghi meccanismi di assessment vengono introdotti pure per la dirigenza. Per implementare e monitorare questi processi di innovazione lavoreremo con tutte le amministrazioni, centrali, regionali e locali. A questo scopo abbiamo previsto un nuovo strumento di pianificazione e controllo, un unico piano che razionalizza e accorpa quelli esistenti, semplificando gli oneri in capo agli uffici pubblici, e che consente di monitorare in maniera efficace l’intero ciclo, dal reclutamento al lavoro agile, dalla digitalizzazione all’accessibilità della Pa da parte delle fasce più deboli».

L’intenzione del decreto è quella di attirare alte professionalità nella pubblica amministrazione e premiare il merito. Ma non c’è a questo punto un problema di livello delle retribuzioni se si vogliono portare nel pubblico le migliori professionalità del privato?
«Assolutamente sì. Ma ho deciso di lasciare alla fine questo tema. Se fossi partito dal livello delle retribuzioni nessuno mi avrebbe ascoltato».

E adesso invece?
«Se dalle riforme nasce una pubblica amministrazione più moderna ed efficiente, le risorse aggiuntive sono pienamente giustificate. Intanto abbiamo quelle necessarie al rinnovo dei contratti di lavoro e abbiamo eliminato i tetti al salario accessorio. Nella legge di bilancio arriveranno anche le risorse per le carriere. E inoltre daremo un dividendo di efficienza».

Un dividendo di efficienza?
«Le amministrazioni che elimineranno gli sprechi potranno destinare la metà dei risparmi al salario accessorio dei loro dipendenti. Per esempio, se taglio le auto blu e risparmio 5 milioni l’anno, due e mezzo li potrò destinare ai premi». 

Uno dei problemi che non ha trovato soluzioni fino ad oggi, però, è quello della distribuzione a pioggia dei premi…
«Io una soluzione l’avevo trovata già nel 2009 con le fasce di merito, che però sono state disattivate».

Le riattiverete?
«Mi riservo di proporre un intervento attraverso la contrattazione con le parti sociali. Ma è evidente che quando si mette in moto una macchina innovativa ed efficiente, il merito e la premialità non possono che essere un meccanismo ineludibile. Nella prospettiva di una rivoluzione gentile della pubblica amministrazione che la renderà dinamica, per me sarà anche più semplice ottenere risorse». 

Torniamo un attimo al Recovery. Quante saranno esattamente le assunzioni previste per il piano?
«C’è questa prima ondata di oltre 24mila assunzioni prevista dal decreto reclutamento. Poi ci saranno tutte le altre, quelle legate ai circa 300 progetti che compongono il piano. Con percorsi ad hoc per i più giovani. Con questa riforma attiviamo infatti l’apprendistato nella Pa, un canale importante per neodiplomati e neolaureati, che associa la formazione al lavoro. Lo finanziamo con una dotazione iniziale destinata a crescere nel tempo».

Di quante altre persone stiamo parlando?
«Una quantificazione precisa, al momento, non è possibile farla. Ma parliamo di diverse decine di migliaia di persone. Tutte quelle che serviranno, profili altamente specializzati che avranno contratti a tempo determinato al massimo di cinque anni».

Il decreto dice che in tutti i contratti di lavoro legati al Pnrr dovrà essere contenuta una clausola di rescissione automatica in caso di mancato avanzamento del progetto?
«È un’altra regola negoziata con l’Unione europea».

I 24mila neo assunti e le future decine di migliaia di giovani che entreranno a tempo determinato nella Pubblica amministrazione, finito il Recovery che fine faranno?
«Mi auguro che almeno una parte vorrà rimanere nella Pubblica amministrazione. Saranno soprattutto loro il futuro capitale umano, il sangue nuovo che cambierà strutturalmente la macchina amministrativa pubblica. Per questo abbiamo previsto di riservare a chi ha partecipato alla straordinaria avventura del Recovery, dopo la fine del piano, il 40 per cento dei posti a tempo indeterminato che saranno banditi dalle amministrazioni. E non dimentichiamo che con il ripristino pieno del turnover entreranno stabilmente già dall’anno in corso almeno 100 mila nuovi dipendenti pubblici. Insomma, da qui al 2026, con Draghi e mille miliardi di investimenti pubblici e privati, sarà un’altra Italia».
 

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