Pensioni, tagli per assegni sopra 1.500 euro netti al mese

Pensioni, sopra 1.500 euro netti al mese scattano i tagli
di Luca Cifoni
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Sabato 29 Dicembre 2018, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 09:31

Ha ragione o torto il governo nel minimizzare l'effetto del tagli alla rivalutazione delle pensioni in essere, deciso a partire dal 2019? In realtà è vero che gli effetti di questa misura inserita nella legge di Bilancio sono nulli o comunque minimi per le pensioni fino a circa 2 mila euro lordi, poco più di 1.500 netti.

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Ma è anche vero che proprio per il prossimo anno - dopo un lungo periodo di recupero solo parziale dell'inflazione - era atteso il ritorno a un meccanismo di indicizzazione più pieno, e in questo senso si era impegnato con i sindacati anche il precedente esecutivo. Invece da questa voce, un po' eufemisticamente definita raffreddamento verranno ricavati importi tutt'altro che trascurabili: 253 milioni nel 2019, 745 l'anno successivo e 1,2 miliardi nel 2021. Dunque il concetto dei pensionati usati come bancomat non è infondato, anche se il sacrificio maggiore viene richiesto ai percettori di assegni medi e medio-alti, la cui fascia più elevata è anche destinataria del pesante contributo di solidarietà.

Per capire qual è l'entità dei tagli occorre partire dal tasso di inflazione definito in via provvisoria, che è pari all'1,1 per cento e dal meccanismo introdotto dall'attuale esecutivo, non troppo diverso (anche se più articolato) rispetto a quello avviato dal governo letta e poi prorogato fino al 2018. Fino a tre volte il trattamento minimo Inps (1.522 euro lordi mensili) il recupero dell'inflazione è pieno. Al crescere del reddito, la percentuale si riduce gradualmente, prima in modo minimo (97% fino a 2.030 euro lordi circa) poi in modo più drastico: le pensioni al di sopra dei 4.565 euro sempre lordi mensili recuperano solo il 40 per cento).
 


Se non fosse stato introdotto questo schema sarebbe entrato automaticamente in vigore quello previsto da una legge del 2000, di fatto scarsamente applicata negli ultimi anni: prevede una decurtazione solo minima dell'importo della rivalutazione, perché il taglio viene applicato non sull'intero importo dell'assegno, ma solo sulle quote che eccedono le due soglie di tre e cinque volte il minimo Inps. Ma anche su quest'ultima fetta di pensione viene comunque garantito il 75 per cento dell'inflazione accertata.

IL CONFRONTO
Confrontando gli incrementi netti che i pensionati si ritroveranno dal prossimo mese di gennaio e quelli che sarebbero invece scattati in assenza di interventi del governo, si osserva che effettivamente fino ai 2 mila euro lordi mensili, il che vuol dire poo più di 1.500 netti, la differenza è al massimo di una manciata di centesimi: questi assegni beneficiano infatti della rivalutazione al 97%.

La riduzione dei potenziali aumenti diventa poi via via più significativa a mano a mano che crescono gli importi: si parla di circa 3 euro netti al mese intorno ai 2.500 lordi mensili, circa 1.800 netti, di 7 euro ai 3 mila lordi (poco più di 2 mila euro una volta sottratte le tasse) e di circa 10 se l'assegno lordo vale 3.500 euro lordi mensili.
La penalizzazione massima scatta tra i 4 mila e i 5 mila euro lordi, con incrementi che in percentuale valgono lo 0,44 per cento (ovvero appunto il 40% del tasso di inflazione riconosciuto pari all'1,1 per cento). E questo è il livello del taglio anche per le pensioni di importo superiore ai 7 mila euro lordi mensili, che si avvivinano alla soglia (100 mila euro lordi in termini annuali) oltre la quali gli assegni vengono sottoposti anche a contributo di solidarietà in quanto ritenute «d'oro».

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