Le pensioni avranno uno “scudo” più forte del passato contro l’inflazione. Ma il caro vita rischia adesso di pesare enormemente sui conti pubblici. Da quest’anno è tornato in vigore il sistema di indicizzazione per quote e scaglioni degli assegni. Un sistema più favorevole ai pensionati e che prevede il recupero pieno dell’inflazione per chi percepisce un assegno fino a 4 volte il minimo (circa 2.000 euro); una rivalutazione del 90% per la quota tra quattro e cinque volte quella minima e del 75% per quella superiore a 5 volte. Questo meccanismo in pratica, permette il recupero pieno dell’inflazione sui primi duemila euro anche a chi ha assegni più alti. Ma ha un costo per lo Stato. Altrettanto alto in un periodo di inflazione galoppante. A fare i conti è stato l’Upb, l’Ufficio parlamentare di Bilancio, che ieri insieme all’Inps ha presentato un’indagine sui risultati di Quota 100.
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Il dossier
L’Upb ha elaborato una prima simulazione dell’impatto sulla spesa pensionistica degli ultimi aumenti dell’inflazione.
Le ipotesi
Proprio sulle ipotesi in campo per l’introduzione di un nuovo principio di flessibilità, è intervenuto il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che ha messo a confronto i costi di tre possibili riforme. La prima è la cosiddetta «Quota 41», il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Il costo della riforma, ha spiegato Tridico, sarebbe di 18 miliardi nei primi tre anni. La seconda ipotesi sarebbe il pensionamento a 64 anni con 35 di contributi, e un assegno maturato pari ad almeno 2,2 volte quello minimo. Il costo di questa ipotesi sarebbe di 6 miliardi nei primi tre anni. C’è poi l’ipotesi Tridico, ossia il pensionamento a 63 anni con almeno 20 di contributi e un assegno pari a 1,2 volte quello minimo. Con la pensione però, che verrebbe pagata in due tranche: la quota contributiva a 63 anni, e quella retributiva a 67 anni. In questo caso il costo sarebbe di 3,5 miliardi.