Il crollo del Pil taglia le pensioni, ma l'epidemia riduce la speranza di vita: possibile stop all'aumento dei requisiti

Il crollo del Pil taglia le pensione, ma l'epidemia riduce la speranza di vita: possibile stop all'aumento dei requisiti
di Luca Cifoni
3 Minuti di Lettura
Lunedì 25 Maggio 2020, 10:26
Se lo sgretolamento del Pil che deriva dall'emergenza coronavirus rischia di rosicchiare gli assegni di chi lascerà il lavoro nei prossimi anni (con una quota di pensione sempre più ampia calcolata con il metodo contributivo) il disastro sanitario in sé, con il suo carico di morte, potrebbe paradossalmente avere un altro effetto sui meccanismi pensionistici: quello di fermare l'innalzamento dei requisiti di uscita che deriva - per legge - dalla crescita dell'aspettativa di vita. Una tendenza sulla quale non ci sono ancora certezze ma che secondo autorevoli esperti, come lo stesso Gian Carlo Blangiardo, demografo e presidente dell'Istat, potrebbe subire una drastica inversione rispetto al passato.
IL LEGAME
Il legame tra speranza di vita e requisiti per l'accesso alla pensione è stato introdotto per la prima volta negli anni 2009-2010 e poi confermato e rafforzato con la riforma Fornero a partire dal 2012. L'idea di fondo è abbastanza semplice: siccome fortunatamente la sopravvivenza media degli italiani cresce nel tempo, legando l'uscita dal lavoro a questa dinamica si mettono automaticamente in equilibrio i conti previdenziali. Altrimenti i pensionati, a fronte degli stessi contributi versati, percepirebbero il loro assegno mediamente per un periodo di tempo più lungo, con conseguente aggravio per le finanza pubbliche. Allo stesso tempo, già in base ad una norma della riforma Dini del 1995, anche l'importo della pensione viene adeguato (ovvero ridotto) al crescere della speranza di vita, tramite il meccanismo dei coefficienti di trasformazione.

Covid 19, il vaccino in autunno: la sfida sui tempi tra case farmaceutiche

NIENTE MARGINI
Questi adeguamenti sono determinati ogni due anni su base statistica, senza margini di discrezionalità politica: nel 2019 è scattato un aumento di cinque mesi, che ha portato l'età della vecchiaia a 67 anni, nonostante le molte pressioni in senso contrario fatte a suo tempo sul governo Gentiloni (la procedura è definita circa un anno prima). Nell'autunno del 2018 invece l'allora esecutivo giallo-verde decise di congelare per legge il meccanismo fino al 2026, solo relativamente alla pensione anticipata (quella conseguita sulla base dei contributi, indipendentemente dall'età).
Nel 2021 non ci sarà nessun adeguamento perché il modesto aumento della speranza di vita a 65 anni non è stato sufficiente a far scattare neanche un mese in più (secondo una formula di calcolo leggermente addolcita proprio dal governo Gentiloni): l'età della vecchiaia resta fissata a 67 anni anche per il prossimo biennio.

Fase 2, il virologo Palù: «Il Covid non si è indebolito, in autunno può tornare più forte»

I DATI
Cosa succederà dal 2023 in poi? Il calcolo sarà effettuato a fine 2021, con i dati di consuntivo che saranno allora disponibili. La speranza di vita è cresciuta in modo abbastanza costante negli ultimi decenni ma con una significativa eccezione nel 2015 e poi ancora (in misura minore) nel 2017. In un suo recente contributo Gian Carlo Blangiardo ipotizza diversi scenari di mortalità conseguenti alla Covid; e questi scenari comportano come conseguenza un calo dell'aspettativa di vita nel 2020 che può variare da 5-6 mesi a oltre un anno. Si potrebbe poi ipotizzare un rimbalzo l'anno successivo, ma è possibile a questo punto che la soglia dei 67 anni resti tale ancora per un po'.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA