Il beneficio – spiega Confesercenti in una nota – vale il 30% delle commissioni per le transazioni mediante carte di credito, di debito o prepagate o altri strumenti tracciabili, ed è riservato ai piccoli esercenti che non abbiano conseguito nel 2019 ricavi superiori a 400mila euro. In questa fascia, secondo le stime di Confesercenti, per un'attività media con 200mila euro di fatturato l'anno – di cui il 50% pagato con carte o bancomat – il credito sarebbe di appena 429 euro. Un mini-bonus certamente insufficiente a coprire i 1.430 euro di commissioni sui pagamenti elettronici sostenuti dall'attività. Anche perché il meccanismo non tiene conto dei costi aggiuntivi legati all'installazione e all'utilizzo del Pos e della linea telefonica dedicata.
Il vantaggio fiscale per gli esercenti rischia inoltre, secondo l'associazione, di essere eroso dalla burocrazia. Per accedere al credito d'imposta, infatti, è necessario presentare ogni mese un modulo F24. Una procedura che, affidata ad un professionista, significherebbe caricarsi di in un costo aggiuntivo di almeno 180-200 euro l'anno.
"Una burocrazia paradossale se applicata a un intervento per la tracciabilità, che in teoria dovrebbe favorire la semplificazione – commenta Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti –. Così si tramuta il tax credit da un aiuto per le imprese a un vantaggio per altri. La misura va corretta, alzando la percentuale coperta dal beneficio e puntando a un abbassamento generale delle commissioni applicate a carte e bancomat, anche promuovendo la competizione tra carte di credito e di debito e nuovi sistemi di pagamento tecnologicamente più evoluti. Ma è necessario anche azzerare costi e passaggi burocratici: i dati relativi alle transazioni sono già a disposizione dei fornitori di sistemi di pagamento e dell'Agenzia delle entrate, il credito di imposta venga accreditato direttamente agli imprenditori come è stato fatto per il bonus a fondo perduto del DL Rilancio".
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