Natalità, il presidente Istat: «Nel 2020 bimbi nati potrebbero scendere sotto i 400 mila, fondi Ue in aiuto alle famiglie»

Natalità, il presidente Istat: «Nel 2020 bimbi nati potrebbero scendere sotto i 400 mila, fondi Ue in aiuto alle famiglie»
di Luca Cifoni
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Domenica 29 Novembre 2020, 08:51 - Ultimo aggiornamento: 10:09

Un gradino dietro l'altro, in discesa verso il declino demografico. Dopo l'arretramento del numero dei residenti sotto la soglia psicologica dei 60 milioni, con un salto indietro di quasi dieci anni, il terribile 2020 potrebbe consegnare al nostro Paese anche un nuovo record negativo delle nascite, al di sotto di quota 400 mila. La tendenza certo non si può dire nuova, visto che in Italia l'attuale fase di denatalità è iniziata nel 2009; ma in questa fase appare se possibile ancora più drammatica. Gian Carlo Blangiardo, demografo e presidente dell'Istat, sta riguardando in questi giorni tabelle e percentuali ed è arrivato alla conclusione che alla fine le cose potrebbero andare anche peggio di quanto immaginato fino a poco fa.

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Più morti per la pandemia e meno bambini che nascono. Anche per la demografia quella in atto sembra la tempesta perfetta.
«Per la mortalità l'anno era iniziato in modo positivo, con un certo calo rispetto al 2019. Poi a marzo e aprile c'è stato il picco che abbiamo visto, quindi in estate si era tornati ad una situazione normale o anche leggermente più favorevole.

A partire da ottobre avremo un nuovo incremento, che diventerà certamente più consistente con i numeri di novembre. Speriamo che a dicembre ci sia una nuova inversione. Sono dati molto dolorosi, anche se alla fine sul piano delle cifre non credo che avremo un incremento complessivo molto più rilevante di quello del 2015. Non abbiamo a che fare con la l'influenza spagnola per fortuna. Nel 2021 mi aspetto un certo rallentamento, perché purtroppo quest'anno è già stata anticipata una parte dei decessi che ci sarebbero stati. In ogni caso su questo fronte non possiamo fare nulla, se non rispettare le regole, fare tutti la nostra parte per cercare di uscirne il più presto possibile».


E poi ci sono le nascite. Erano già in calo deciso da undici anni, ma qualcuno credeva che il lockdown avrebbe potuto invertire il fenomeno, o quanto meno arrestarlo, con la convivenza forzata di coppie e famiglie.
«Non è così. L'incertezza condiziona le scelte ed in questo caso non abbiamo a che fare solo con timori momentanei, come ad esempio quelli che accompagnarono la nube di Chernobyil, frenando temporaneamente le nascite. L'incertezza riguarda anche il dopo, la situazione economica, le prospettive di occupazione. La pandemia ferma i matrimoni, non solo nel senso delle cerimonie ma dei progetti di vita più in generale».


Siete in grado di quantificare il risultato di questa situazione? Quale sarà l'effetto della pandemia sulla natalità?
«Le valutazioni che erano state fatte fino a poco tempo fa ora possono sembrare addirittura ottimistiche. Nel 2019 ci sono state 420 mila nascite. Proiettando meccanicamente i dati dei primi otto mesi sull'intero anno saremmo a quota 410 mila o poco meno, ma a dicembre si faranno sentire gli effetti dei minori concepimenti di marzo, per cui alla fine potremmo scendere già quest'anno sotto quota 400 mila, per poi andare ancora più giù nel 2021».


La società e la politica secondo lei si sono rese conto di quello che sta succedendo?
«Si può dire che finora noi avessimo due grandi problemi, quello dell'economia e quello della demografia, ma il primo, con un Pil sostanzialmente fermo, in qualche modo oscurava il secondo. Ora il tema demografico è molto più evidente. Nella legge di Bilancio ci sono dei segnali positivi, con l'assegno universale; anche l'occasione delle risorse europee potrebbe essere sfruttata, in particolare con interventi a favore delle donne e dei giovani. Direi che c'è una certa consapevolezza che la situazione vada affrontata. Ma ricordiamoci che la soluzione non è solo quella dell'aiuto economico alle famiglie, serve una risposta integrata con la spinta all'occupazione, le politiche di conciliazione. Gli esempi che vengono dall'estero, senza volerli mitizzare, ci dicono che è possibile invertire la tendenza. In Germania e in Francia, ma anche in Austria, in Danimarca e in altri Paesi si è riusciti a fare qualcosa in questo senso».


Però come l'Istat ha più volte sottolineato il problema non è solo che si fanno pochi figli, ma anche il fatto che mancano le madri, nel senso che la platea di quelle potenziali si è ridotta.
«Certo, scontiamo gli effetti del passato. La generazione dei baby boomers era numerosa e - per così dire - se l'è cavata anche con un numero basso di bambini. Ora dobbiamo tornare per lo meno alla media di due figli che almeno stando alle statistiche è il numero desiderato dalle coppie. Per la struttura della popolazione non possiamo fare molto, ma io credo che anche le donne che non fanno figli si trovino in questa situazione spesso per motivi di lavoro, perché giustamente dopo aver studiato vogliono farsi valere. Temi che appunto potrebbero essere affrontati con le politiche di conciliazione. Ma è importante che si capisca che il problema non riguarda solo lo Stato, le politiche pubbliche. Anche le aziende avrebbero interesse a dare una mano: in fondo il calo della popolazione, tra le altre cose, incide negativamente sui consumi».

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