Nascite ai minimi storici. Sempre più sentito il problema dell'infertilità: ecco perché

Nascite ai minimi storici. Sempre più sentito il problema dell'infertilità: ecco perché
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Giovedì 30 Giugno 2022, 16:45
(Teleborsa) - L'Italia è un Paese di vecchi e conferma un numero di nascite ai minimi storici dall'Unità d'Italia. Un problema che ha a che fare con cambiamenti socio-economici, perlopiù la necessità di conciliare i tempi famiglia-lavoro, e che si traduce anche in un aumento dell'infertilità femminile, che acuisce il problema delle "culle vuote" e del calo demografico.

"Le cause delle cosiddette 'culle vuote' sono molteplici. Sappiamo che una donna su due in Italia ha difficoltà a conciliare la maternità con il lavoro e questa è una delle cause per cui una donna ricerca il primo figlio ad un'età più avanzata rispetto a quanto potesse accadere 20-30 anni fa", afferma Daniela Galliano, responsabile della clinica PMA IVI Roma, aggiungendo "proprio per questo dovremmo informare le donne sulle problematiche relative alla ricerca di un figlio in età più avanzata, parlando della correlazione dell'età con la diminuzione della fertilità e con l'aumento dell'incidenza degli aborti".

"Fare un figlio in età avanzata comporta l'infertilità, che è una delle esperienze più dolorose che una coppia deve affrontare. Per questo consigliamo di preservare la fertilità con il congelamento degli ovociti", spiega Galliano, precisando "in nessun modo intendiamo sostituirci alle politiche occupazionali del nostro Paese, che credo dovrebbero supportare la donna rispetto ad u percorso di maternità nell'età in cui biologicamente sarebbe meglio averla".

"Spesso la scelta non riguarda la carriera, ma è un problema di avere o meno un lavoro", sottolinea Galliano, aggiungendo che "ci dovrebbe essere la libertà di scelta fra l'essere madri e non esserlo ed essere consapevoli delle difficoltà di affrontare una maternità più avanti negli anni".


Nascite ai minimi storici


Secondo le stime provvisorie Istat, nel 2021 si sono registrate 399.431 nascite, in diminuzione dell'1,3% sul 2020 e quasi il 31% in meno rispetto al massimo relativo del 2008 (576.659). La differenza rispetto al milione di nascite registrate all'apice del baby boom negli anni '50-'60 è addirittura del 60%.

Il calo delle nascite si è accompagnato anche ad una diminuzione della platea di donne in età fertile, cioè di potenziali madri, ed al progressivo invecchiamento della popolazione: gli over 65 sono il 23,8% della popolazione e l'indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra la fascia più giovane della popolazione (0-14enni) e quella più anziana (over 65), è sallito a 187,9, livello più alto degli ultimi 20 anni.

Anche la pandemia scoppiata a febbraio 2020 ha acuito il problema del calo delle nascite: i nati a novembre 2020, riferiti in gran parte ai concepimenti di febbraio, risultavano in calo del 6,3% sul febbraio del 2019, ed i nati di dicembre, riferiti in gran parte ai concepimenti nella prima parte del primo lockdown, sono in calo del 10,3% rispetto allo stesso mese di un anno prima.

Il lavoro fra le cause del calo delle nascite

L'esigenza di lavorare e far entrare due stipendi in famiglia è fra le principali cause del calo delle nascite. In Italia, infatti, quasi una mamma su due non ha un lavoro e si dedica unicamente alla famiglia: il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni non è occupata e il 39,2% delle donne con 2 o più figli minori è in contratto part-time.

Secondo un Report di Save The Children, sono circa 6 milioni le donne "alla continua ricerca di un equilibrio" tra famiglia e lavoro, spesso "senza supporto e con un carico di cura importante, aggravato negli ultimi anni a causa della pandemia". Condizione questa che si traduce in una fuoriuscita delle mamme dal mercato del lavoro, perché in Italia le tutele di maternità le ha solo chi ha un contratto a tempo indeterminato.

Anche guardando alla media europea ed ai dati forniti da Eurostat si rileva un divario occupazionale di genere di ben 11 punti percentuali a sfavore delle donne. Ruoli sociali stereotipati, discriminazioni (coscienti o meno), segregazione professionale, che concentra le donne in determinati settori lavorativi sono fra i tanti fattori che contribuiscono ad alimentare il divario occupazionale tra i generi.
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