Per il governo è un campanello d’allarme. Alla vigilia dell’avvio degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con l’Unione europea pronta a versare i primi 25 miliardi di anticipo dei fondi, il caso scoperchiato dalla Corte dei Conti sull’uso dei fondi per l’efficientamento energetico dei ministeri è una sorta di bestiario. Un perfetto manuale di complicazione burocratica che ha reso praticamente impossibile spendere i soldi, 355 milioni in tutto, di cui 315 chiesti dai ministeri, per rendere gli immobili della Pubblica amministrazione centrale più confortevoli e meno inquinanti.
Von Der Leyen presenta il green plan: «Saremo apripista per economia pulita»
Ministeri “green”, fallisce il piano per troppi vincoli. Sprecati 355 milioni
In pratica quello che oggi ci chiede di fare l’Ue anche con il Recovery Plan.
LA CORSA AD OSTACOLI - Il perché è presto detto. Il primo problema è che il decreto attuativo per spendere le risorse che doveva arrivare in 30 giorni, ci ha messo due anni per essere emanato. Nei fatti, insomma, si è partiti non all’inizio del 2016 come da programma, ma nel 2018. Il secondo problema sono state, come precisa la Corte dei Conti, «le troppe amministrazioni coinvolti». In realtà una vera babele. C’è il ministero dello Sviluppo, che con l’aiuto del Gse e di Enea deve fare ogni anno il piano degli interventi. Poi c’è il ministero dell’Ambiente, che deve occuparsi del piano a medio e lungo termine dell’efficientamento degli edifici pubblici. Poi c’è una “cabina di regia”, che nella sostanza deve coordinare le competenze dello Sviluppo con quelle dell’ambiente.
LA SITUAZIONE - Poi c’è l’Agenzia del Demanio, presso la quale è stata accentrata la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili pubblici. Ed ancora, c’è il ministero delle Infrastrutture che interviene tramite i provveditorati alle opere pubbliche che devono occuparsi della progettazione esecutiva dei lavori e seguire i cantieri. Insomma, l’esatto contrario di una procedura snella. Non solo. Siccome il “manutentore unico” è l’Agenzia del Demanio, tocca a lei fare accordi quadro con le imprese in base al criterio del massimo ribasso. L’Agenzia deve compilare una sorta di classifica delle imprese dalla meno cara alla più cara. E se c’è da fare un lavoro deve prima sentire l’impresa più economica e, se questa non è interessata, passare alla seconda in classifica e così via. Morale della favola: visti i prezzi troppo bassi, prima di trovare un’impresa disposta ad accettare il lavoro passa, dice la Corte dei conti, in media un anno. Un altro problema, secondo i magistrati, è il coinvolgimento dei provveditorati. Normalmente hanno altro da fare. Si occupano di grandi opere, progetti spesso complessi.
GLI INTERVENTI - Dover pensare a sostituire gli infissi o le pompe di calore dei ministeri non è insomma una loro priorità. Il risultato è che dei 230 progetti presentati dalle amministrazioni, solo 162 hanno ottenuto il finanziamento, solo per 25 sono stati stipulati contratti per l’esecuzione dei lavori e solo 3 cantieri (tutti su immobili dei vigili del fuoco) si sono conclusi, per una spesa di 379 mila euro. Per ora i soldi non sono andati persi. Il programma è stato esteso dal 2020 al 2030. E tutti i ministeri hanno proposto delle semplificazioni a questa procedura barocca. Magari permettendo di scegliere direttamente le imprese sul Mepa, il mercato elettronico della Pubblica amministrazione. Anche perché stanno per arrivare 15 miliardi europei che coprono, tra le altre cose, l’efficientamento energetico di scuole e ospedali. Se i tempi sono quelli visti con i ministeri c’è poco da stare sereni.