Imu della Chiesa, nel mirino i cinque miliardi di arretrati

Imu della Chiesa, nel mirino i cinque miliardi di arretrati
di Michele Di Branco
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Martedì 19 Novembre 2019, 07:45

Il Movimento 5 Stelle riapre il fronte tasse con il Vaticano. La Chiesa cattolica, si legge in un emendamento depositato in Senato da Elio Lannutti, deve pagare l'Imu su tutti i suoi immobili adibiti a ristoranti, bar, alberghi, o anche all'erogazione di servizi ospedalieri o sanitari. E, secondo la proposta dell'esponente pentastellato, lo Stato dovrebbe trattenere almeno il 30% rispetto al fatturato complessivo dell'azienda.

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LA GENESI
Non solo: Lannutti reclama anche il versamento degli arretrati Ici (la vecchia formulazione dell'Imu) relativi al periodo 2006-2011. Con questa mossa, i 5 Stelle ripropongono una vicenda spinosa che si trascina da molti anni e che sembrava chiusa nel 2012 quando il governo Monti firmò un accordo con le autorità ecclesiastiche. In base a quell'intesa ogni singola parrocchia o realtà ecclesiastica, se titolare di una attività commerciale, da quel momento era tenuta a pagare l'imposta sugli immobili al Comune di riferimento. Il problema è che il Vaticano, che detiene il 20% del patrimonio immobiliare italiano, ha un parco immobiliare composto da 9 mila scuole, 26 mila tra chiese, oratori, conventi, campi sportivi e negozi e 5 mila tra cliniche, ospedali e strutture sanitarie e di vario genere. E riuscire a distinguere esattamente chi svolge attività commerciale da chi non le pratica, non è affatto semplice. Ieri l'Apsa, l'ente che gestisce gli immobili del Vaticano, ha reso noto quanto versato nell'ultimo anno. Nel 2018, secondo quanto riferito dallo stesso presidente, monsignor Nunzio Galantino, l'Apsa ha pagato di Imu 9 milioni 228 mila euro e 30 centesimi. E a questa cifra occorre aggiungere quanto versato per gli immobili di Propaganda Fide, della Cei, del Vicariato. Nel primo semestre del 2019 l'Apsa a versato Imu, a titolo di acconto per 4 milioni e 434 mila euro. Un incasso evidentemente giudicato insufficiente dai 5 Stelle, che puntano a un giro di vite. Rimettendo nel mirino soprattutto gli arretrati. E qui la vicenda si fa ancora più complicata. Con l'accordo del 2012, lo Stato italiano aveva di fatto rinunciato a reclamare l'Ici non versata in passato ma un anno fa una sentenza della Corte di Giustizia europea ha rimesso tutto in discussione annullando la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale Ue del 2016 che avevano stabilito, per l'Italia, «l'impossibilità di recupero dell'imposta a causa di difficoltà organizzative». I problemi connessi all'attività di contrasto all'evasione fiscale, aveva spiegato la Corte, «costituiscono mere difficoltà interne». Un modo neppure tanto garbato per dire: se non siete stati capaci di farvi pagare è un problema che non ci riguarda ma che non vi esenta dai vostri doveri.

LE STIME
Secondo le stime emerse alcuni mesi fa dal ministero dell'Economia, la Chiesa, solo per il periodo 2006-2011, sarebbe debitrice di imposte sugli immobili nei confronti dello Stato italiano di 4,8 miliardi di euro. Per risolvere il problema, nel novembre del 2018, il governo Conte I aveva accarezzato l'idea di proporre al Vaticano una pax fiscale. Vale a dire il versamento di una aliquota forfettaria (fissata intorno al 20-25% sull'ammontare del debito) depurata di interessi e sanzioni di mora e legali. In breve, la Chiesa avrebbe potuto cavarsela con il versamento di un miliardo di euro, magari con comode rate. «Il problema si trascina da anni e la sentenza della Corte di Giustizia ci impone di trovare un accordo con il Vaticano» aveva spiegato il sottosegretario leghista dell'Economia, Massimo Garavaglia. Un proposito poi caduto nel vuoto.
 

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