Il fondatore di Maire Tecnimont: «L'Italia può rinascere con i distretti circolari»

Il fondatore di Maire Tecnimont: «L'Italia può rinascere con i distretti circolari»
di Roberta Amoruso
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Mercoledì 23 Dicembre 2020, 16:38 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 06:08

«Lo sa che succede quando si trasformano i rifiuti a 1.200 gradi? Con un processo di conversione si recuperano carbonio e idrogeno. Il 10% di inerte è utilizzabile anche in edilizia, tutto il resto viene recuperato per la produzione di prodotti chimici che servono per esempio per alimentare vetture a idrogeno. Se invece i rifiuti vengono mandati nell’inceneritore e bruciati, si emettono CO2 e altre sostanze. È per questo che continuo a ripetere che il rifiuto è il petrolio del terzo millennio. Ed è come dire che in Campania c’è un giacimento di petrolio che può fruttare 20 anni». Fabrizio Di Amato, presidente e fondatore di Maire Tecnimont, già a 19 anni ha messo le basi di un colosso internazionale nella fornitura di tecnologia, oltre che nell’ingegneria e costruzione per realizzare grandi impianti industriali per la trasformazione delle risorse naturali.

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«All’inizio avevo tre dipendenti.

Oggi siamo quasi diecimila persone in 50 paesi e mi fa piacere ricordare che, dopo 37 anni, i tre dipendenti iniziali sono ancora con me». Ha puntato per anni all’estero, Maire Tecnimont, passando da un’acquisizione all’altra, da Fiat Engineering alla Tecnimont, in un Paese che da tempo ha voltato pagina su idrocarburi e chimica. Ma due anni fa Di Amato ha visto la rivoluzione all’orizzonte e ha tirato le fila di progetti avviati da 10 anni fondando la NextChem. E oggi più che mai crede all’«opportunità unica dell’Italia» di sfruttare “il petrolio del futuro” e tecnologie tutte made in Italy che possono spingere il Paese per primo nel cuore della transizione energetica.

L’«opportunità» per la Maire Tecnimont è quella di creare dei distretti industriali circolari in tutta Italia. «Abbiamo pensato di ripartire proprio dalla chimica e dalla grande tradizione della petrolchimica di Giulio Natta», spiega Di Amato. «Abbiamo realizzato a Brescia il primo impianto con una efficienza di riciclo del 90-95%, uno dei primi impianti in Europa a produrre polimeri riciclati di alta qualità dai rifiuti plastici. E abbiamo appena implementato una tecnologia che fa la purificazione del gas prodotto da rifiuto per produrre idrogeno circolare, sfruttando le competenze che il gruppo ha tramite la controllata KT, che realizza impianti di idrogeno convenzionale da idrocarburi da oltre 30 anni».

L’idea dei distretti industriali circolari nasce da qui. «Prendiamo i siti con vecchie raffinerie, centrali a carbone, e altri impianti industriali, tra l’altro già censiti anche a livello nazionale (alcuni Siti di interesse nazionale), e riconvertiamoli». Come? «Trasformandoli in distretti in cui si possono riciclare tutti i rifiuti plastici, si può produrre idrogeno circolare, metanolo ed etanolo trattando i rifiuti indifferenziati e si può anche fare l’idrogeno green da elettrolisi, con emissioni zero. Significa creare una vera rivoluzione». Se poi si inserisce nel sito anche un impianto fotovoltaico si può anche utilizzare dell’energia direttamente.

«Progressivamente anche l’idrogeno verde, finora costoso, diventerebbe competitivo». E allora si capisce perché Regioni come la Campania possono diventare un risorsa preziosa. «Pensi a un giacimento di 5 milioni di tonnellate di rifiuti stoccati in ecoballe messe lì da anni. Un impianto di taglia minima per noi tratta 200mila tonnellate l’anno di rifiuti: è come assicurarsi per 20 anni la materia per far funzionare l’impianto». Praticamente un sogno per un Paese che da 30 anni ha a che fare con lo smaltimento dei rifiuti.

Ma per Di Amato, non è un sogno. È un piano già presentato al premier Conte durante gli Stati Generali sul quale ci sono già stati riscontri positivi. Gli ostacoli? «Lo abbiamo già avviato a Livorno per fare metanolo. E c’è un progetto di fattibilità a Taranto. I piani sui quali stiamo lavorando sono cinque o sei, ma ci potrebbe essere un distretto almeno per ogni Regione. Basta attivare le forze, anche con partnership pubblico-private, per segnare la svolta», dice il presidente. Che naturalmente non ignora gli ostacoli. «Abbiamo bisogno di un sistema normativo che lo consenta. Oltre alla consapevolezza a livello centrale, ci vuole una importante campagna di sensibilizzazione sul territorio. E senz’altro semplificazioni».

A quel punto, «la politica decida pure la rotta da seguire», ma i soggetti attuatori devono essere le migliori competenze del Paese». Soltanto così si possono sfruttare al meglio anche le risorse del Recovery. «Noi siamo pronti. Vogliamo ripartire dall’Italia per poi andare in giro per il mondo. E non vorremmo dover fare il contrario». Il Paese «non può perdere questo carro per far ripartire l’economia e l’occupazione». Ci sarà «un cambiamento di paradigma», conclude Di Amato: «ma sta a noi muoverci in fretta per affrontare la crisi, e come sempre le discontinuità possono diventare un’opportunità». 

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