Il 2020 è stato un anno particolarmente duro per le donne lavoratrici, sia autonome sia dipendenti. La crisi, infatti, ha picchiato in particolare le attività dove sono presenti in maggior misura le donne. Degli oltre 440mila posti di lavoro persi l'anno scorso in Italia, rileva l'Istat, il 70% circa era occupato da donne e questo in un Paese che ha il più basso tasso di occupazione femminile, Grecia esclusa.
L'asimmetria dell'impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano discende dal fatto che i settori maggiormente bersagliati dalla crisi sono quelli che rientrano in filiere (moda, turismo, attività culturali, servizi alla persona) dove maggiore è la presenza femminile in termini di occupazione. E dove è anche maggiore la presenza femminile nell'imprenditoria e nel lavoro autonomo.
Se - chiarisce CNA - la media dell'occupazione indipendente femminile tra industria e servizi è pari al 31,2%, nelle "altre attività di persone" (in cui rientrano i servizi alla persona) tocca il 57,9%, nell'abbigliamento il 52,8%, nella sanità e l'assistenza sociale il 46,5%, nell'istruzione il 42,3%, nell'alloggio e ristorazione il 41,8%, nel tessile il 41%. Anche l'occupazione indipendente femminile è uscita ridotta dall'annus horribilis. E questo benché abbia risposto molto meglio della componente maschile alla crisi globale scoppiata nel 2008 e alla crisi della finanza pubblica del 2011, dalle quali l'Italia non si era ancora ripresa prima che arrivasse la pandemia. Tra il 2009 e il 2019, infatti, il numero di donne che lavorano come indipendenti era rimasto pressoché costante, accusando un calo dello 0,4% a fronte del -8,8% maschile. Nei primi nove mesi dell'anno scorso queste tendenze si sono però invertite: a fronte del -3,9% femminile, la componente maschile del lavoro autonomo si è fermata al -2,2%.
A livello psicologico, risultati economici a parte, il 2020 ha avuto un impatto perlopiù negativo: il 60,5% delle intervistate lo ha vissuto con sentimenti di preoccupazione, all'opposto il 37,5% ha affermato di aver guardato al futuro con speranza e fiducia. Le imprenditrici più pessimiste sono soprattutto quelle la cui attività è stata fondata prima del nuovo millennio, evidentemente provate dalle due precedenti crisi. A reagire con maggiore carattere le imprenditrici che hanno fondato da sé la propria attività.
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