LE ACCUSE A FCA
Nel dettaglio, Rustichelli ha puntato il dito contro il recente trasferimento della sede fiscale di Fca a Londra e della sede legale e fiscale in Olanda delle sue società controllate ha provocato «un rilevante danno economico per le entrate dello Stato». Il caso Fca, «quella che era la principale azienda automobilistica italiana» è la conferma della penalizzazione che subisce l’Italia dalla concorrenza fiscale all’interno della Ue. Lì dove però non mancano i virtuosi. «la proprietà» delle grandi imprese italiane che mantiene «comportamenti fiscali lodevolmente etici nei confronti del nostro Paese» pur subendo «un grave svantaggio competitivo».
Colpa dei paradisi fiscali. Perchè la concorrenza fiscale all’interno dell’Unione europea mina la fiducia nel mercato unico e penalizza in particolare l’Italia con un danno annuo stimato fino a 8 miliardi. «La concorrenza fiscale genera esternalità negative che costano a livello globale 500 miliardi di dollari l’anno, con un danno stimato per l’Italia tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l’anno. Una concorrenza fiscale di cui, di fatti, beneficiano le più astute multinazionali pone le imprese italiane, soprattutto quelle piccole e medie, ma anche le grandi società la cui proprietà mantiene comportamenti fiscali lodevolmente etici nei confronti dei nostro Paese, in una situazione di grave disagio competitivo».
Sul banco degli imputati finiscono i soliti noti, Olanda Lussemburgo, Irlanda e anche Regno Unito. E dunque quel dumping fiscale di alcuni paesi membri «divenuti ormai veri e propri paradisi fiscali». Alcuni paesi «ci guadagnano ma è l’Europa a perderci». Ed è per questo che non può stare a guardare. Per Rustichelli, «l’Europa e i governi nazionali possono e devono fare di più: innanzitutto rimuovendo quelle asimmetrie e distorsioni competitive che impediscono al mercato unico di funzionare correttamente a beneficio di tutti».
Si tratta di dare battaglia a quella «malsana competizione» frutto «di egoismi nazionali e rischia di incrinare i valori che hanno finora sorretto il processo di integrazione europea». Di qui la citazione del caso Lussemburgo «Paese di circa 600 mila abitanti, è in grado di raccogliere imposte sulle società pari al 4,5% del Pil, a fronte del 2% dell’Italia». Anche l’Irlanda (2,7%) fa meglio dell’Italia, con un’aliquota particolarmente bassa in grado di attrarre imprese profittevoli con un margine operativo lordo mediamente pari al 69,4% del valore aggiunto prodotto. Insomma, gli investimenti internazionali si adattano alla geografia della concorrenza fiscale per Rustichelli. E se ll’Italia attira investimenti esteri diretti pari al 19% del PIL; il Lussemburgo pari a oltre il 5.760%, l’Olanda al 535% e l’Irlanda al 311%. «Valori così elevati non trovano spiegazione nei fondamentali economici di tali Paesi, ma sono in larga parte riconducibili alla presenza di società veicolo». Società puntualmente a controllo estero. Dunque, le imprese a controllo estero rappresentano oltre un’impresa su quattro del Lussemburgo, mentre generano il 73,6% del margine operativo lordo complessivo prodotto dalle imprese in Irlanda a fronte del 12,7% in Italia. E basta guardare uno studio commissionato dal Ministero delle Finanze olandese per vedere come i soli flussi finanziari (dividendi, interessi e royalties) che passano dalle società di comodo olandesi ammontano a 199 miliardi di euro (il 27% del PIL del Paese).
Comprensibile, date le premesse, se l'Antitrust ha dedicato il secondo paragrafo di questo capitolo
«ai cosiddetti tax ruling, che possono conferire un vantaggio specifico a talune imprese idoneo a distorcere la concorrenza>. Negli ultimi anni,
E certi fenomeni per Rustichelli
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