Istruzioni per affrontare la nuova fase 2. La sociologa: «Sappiamo ascoltare gli altri»

Istruzioni per affrontare la nuova fase 2. La sociologa: «Sappiamo ascoltare gli altri»
di Rosario Dimito
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Domenica 17 Maggio 2020, 13:54 - Ultimo aggiornamento: 14:14

«Siamo generazioni cresciute sentendo madri e padri che, nei tanti momenti di crisi non facevano che ripetere frasi come: “il matrimonio è la tomba dell’amore”, nascondendosi dietro la convinzione che sia la convivenza in quanto tale ad essere pesante e non noi stessi che, finito l’innamoramento ci muoviamo in modo scontato smettendo di essere leggeri, creativi e curiosi». Stiamo rientrando alla (quasi) normalità, sia pure condizionata da mascherine, guanti, gel e distanziamenti di un metro, il sociologo ci aiuta a riaffrontare la realtà facendoci interrogare davanti allo specchio. Uno sforzo di sincerità sarebbe opportuno per evitare un comprtamento ipocrita che sarebbe solo autolesionistico nuocendo a noi stessi e alle relazioni con gli altri, tanto più che obbligatoriamente avverranno a distanza.
«Abbiamo sicuramente tanta difficoltà a tener fede alla promessa fatta, anche perché siamo socialmente sdoganati dalla sacralità dell’impegno» ci ricorda Chiara Narracci, consulente e mediatore familiare con la formazione sociologica. «Così gradualmente smettiamo di dare considerazione all’altro nell’assurda convinzione di sapere già cosa dirà e cosa farà, perché per noi è un libro aperto, così ci permettiamo di dare un significato anche alle posture e alle espressioni facciali e di pensare al posto dell’altro, anche perché come noi si è reso scontato», prosegue l’esperta che, per mestiere deve estrarre gli aspetti negativi della nostra personalità cercando di trasformarli in positivo attraverso la presa di coscienza. Non sempre l’impresa riesce, ma per colpa nostra e delle nostre gabbie mentali.

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«Tutti conosciamo il fastidio che si prova quando l’altro ci finisce le frasi. Eppure non facciamo niente per essere meno scontati. Ci limitiamo a dire: “sono fatto così”». Vero, frasi che ripetiamo quasi meccanicamente per non voler prendere atto della realtà e di noi stessi. «Continuiamo ad essere statici e sciatti, ci trasciniamo per casa, dando anche libero sfogo ai nostri sfiati, con l’assurda pretesa che l’altro ci debba amare così come siamo: nervosi, rabbiosi, sciatti, spettinati, ingrassati, o perennemente a dieta, ripetitivi, noiosi, silenziosi o brontoloni, criticoni, protestoni, ignoranti e spesso anche cafoni. Bella pretesa. Finiamo con il cercare appagamento altrove: coccole nei figli o nei genitori, intimità nelle amicizie, sesso con gli amanti, stima e rispetto nel lavoro e nella coppia rimane solo la noia che portiamo. Motivo per il quale alla fine ci si lascia», altra derivazione pericolosa perchè si crede che fuggendo si possa trovare altro, ma ci portiamo dietro pregiudizi, frustrazioni, noie, rancori. Infatti.

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«La separazione sembra l’unica strada per tornare ad essere sereni, ci convinciamo che sia un nostro diritto venir meno al nostro dovere, sottovalutiamo il dolore profondo che causiamo nei nostri figli, dolore che minerà la nostra libertà con dispetti, scenate di gelosia, capricci, ripicche, insulti e pretese. In quel momento varchiamo la soglia di casa, ubriachi dalla sensazione di tornare ad essere liberi, senza qualcuno che continuamente ci rimanda i nostri lati negativi, ci sentiamo pronti ad affrontare sacrifici immensi, come il tornare a vivere nella famiglia di origine o al dover rinunciare anche ad una pizza o ad un cinema con i figli o gli amici». Una fuga dai noi stessi. D’altronde nessuno ci ha insegnato a non darci per scontato, anzi». 
L’esperta ci riporta al passato. «Da quando siamo piccoli ci viene rimandata un’idea di noi stessi con la quale ci identifichiamo e non ci insegnano che possiamo essere anche altro, che possiamo scegliere, così ci convinciamo di essere solo così, anche se così non va bene. Non veniamo educati alla libertà di sperimentarci per conoscerci, cioè a fermarci prima di agire e a chiederci se ciò che stiamo per fare sia buono per noi, al di là del giusto o dello sbagliato e del bene e del male. Cresciamo così, limitati e senza libertà, incapaci di avere cura delle nostre relazioni perché nessuno ci ha insegnato che possiamo sempre scegliere come entrare in relazione». Tutto vero, anche se ciascuno di noi cresce di età e di pensiero secondo gli insegnamenti ricevuti dai genitori i quali, sia pure a fin di bene, ci trasmettono a loro volta le loro insicurezze, delusioni.

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«Abbiamo coltivato sin da piccoli l’illusione che nelle buone relazione non ci debba essere uno sforzo, un andare oltre quello che ci viene istintivo essere, e che possiamo sempre chiudere i rapporti quando non funzionano e cambiare» prosegue la Narracci. Solo che non cambiano. Ci limitiamo a riproporci sempre nello stesso modo nella speranza che ci apprezzino…cosa che tra l’altro all’inizio dei rapporti avviene, ma non osando nella conoscenza e nella sperimentazione di noi stessi ci si spenge… e si risalta per aria. Altro giro altra corsa, che fatica. Quindi, giochiamo». Allora la vita è un gioco, come diceva Madre Teresa di Calcutta

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«Giochiamo ad essere curiosi - spiega la sociologa -, a sperimentarci, proviamo a porci in modo diverso e vediamo che succede. Credo ne valga la pena dal momento che il nostro modo istintivo di porci ci ha portato ad essere talmente ripetitivi da spengerci. Magari riusciamo a stupirci, a divertirci e a riaccendere anche il desiderio sessuale verso l’altro. Therese Hargot giustamente afferma che: “nella sessualità della coppia, al di là dell’aspetto meccanico, portiamo le nostre emozioni e il nostro spirito”; se torniamo a giocare con l’altro anche nella sessualità ci sentiremo più liberi di dare e ricevere piacere». L’esperto fa appello alla dottrina della filosofa e sessuologa francese, autrice del libro “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”.

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«Esplorazioni che ci potrebbero rivelare parti di noi sconosciute da condividere nella coppia, perché se è vero che siamo soggetti in perenne cambiamento se ci diamo il permesso di interrogarci magari avremo da noi stessi nuove risposte rispetto alle passate, nuovo materiale da condividere ricordandoci di chiedere la considerazione dell’altro: tu come la pensi? Come la senti?», si chiede la sociologa. «Questo è un cambio di passo necessario per darsi un valore, ci diamo un senso quando siamo consapevoli di quello che facciamo, che si perde quando ci trasciniamo spenti e svogliati. Il passare dal prendere: “mi devi accettare così come sono” al dare: “osare, ovvero, accendere la curiosità verso se stessi e verso l’altro nel chiedere: tu cosa ne pensi? Ed ascoltare con interesse la possibile risposta anziché darla per scontato” ci consente di avere quei rapporti intimi, veri, potenti ed autentici che ci fanno sentire visti a apprezzati al di là dell’illusione dell’innamoramento e chissà magari restando insieme con cura reciproca riusciamo anche a dare ai nostri figli le sicurezze affettive necessarie per poter affrontare la vita».

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