E' quanto rileva l'ultima nota mensile dell'Istat, secondo cu i dati congiunturali dell'Area Euro incorporano solo in parte gli effetti delle tensioni geopolitiche, ma le prospettive hanno subito un peggioramento.
In Italia, le informazioni disponibili dal lato delle imprese, anche se ancora prevalentemente riferite al periodo precedente il conflitto, segnalano un diffuso rallentamento e in alcuni casi una flessione dell'attività. A febbraio, la produzione industriale ha segnato un deciso rimbalzo congiunturale, ma ipotizzando per marzo un livello dell'attività economica uguale a quello di febbraio, il primo trimestre chiuderebbe con una produzione industriale in calo dello 0,9%.
I miglioramenti dei consumi, dei redditi e del mercato del lavoro segnati fino a febbraio si sono associati a un progressivo deterioramento della fiducia delle famiglie divenuto più accentuato a marzo. I segnali provenienti dal mercato del lavoro, a febbraio, sono rimasti positivi con un aumento dell'occupazione e una flessione della disoccupazione e dell'inattività. Tuttavia, le attese delle imprese sull'andamento dell'occupazione iniziano a presentare segnali meno favorevoli.
A marzo, è proseguita la fase di aumento dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo IPCA (+7% in termini tendenziali) ma il differenziale inflazionistico con l'area euro è tornato negativo come effetto dell'ampliamento del gap relativo ai beni industriali non energetici e ai servizi.
L'impatto della guerra sull'economia italiana rimane di difficile misurazione - sottolinea l'Istat - e si innesta all'interno di una fase del ciclo caratterizzata da una crescita di alcuni settori economici, degli investimenti e del mercato del lavoro. Nonostante l'accelerazione dell'inflazione, l'attuale tasso di investimento, tornato ai livelli del 2008, e l'ancora elevata propensione al risparmio potrebbero rappresentare punti di forza per lo sviluppo dell'economia nei prossimi mesi.
In questo scenario, la forte accelerazione dell'inflazione, condizionata dall'andamento dei prezzi dei beni energetici, costituisce ancora il principale rischio al ribasso a cui si associano i possibili effetti negativi legati al rallentamento del commercio internazionale e all'apprezzamento del dollaro.
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