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La riforma Irpef e l’importanza dei consumatori

Articolo riservato agli abbonati
20 Febbraio 2021 di Giuseppe Vegas (Lettura 4 minuti)
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Nelle sue dichiarazioni programmatiche, il presidente del Consiglio Draghi ha affermato di voler riformare il sistema fiscale nel suo insieme, a cominciare dall’Irpef, imposta che, mantenendo le sue caratteristiche di progressività e tenendo anche conto della necessità di riconsiderare la tassazione sui consumi, andrà adeguata alla nuova realtà economica e sociale. Le commissioni finanze di Camera e Senato hanno in corso una serie di audizioni, a cui il sottoscritto ha partecipato, per vagliare le possibili proposte in materia.

Ad avviso di chi scrive, premesso che in primo luogo un sistema fiscale deve essere orientato a stimolare lo sviluppo, occorre valutare se abbia ancora senso farlo ruotare attorno all’imposta personale sul reddito, nel momento in cui il reddito, o per lo meno un flusso certo e costante nel tempo di reddito omogeneo, non costituisce più un fattore che accomuna la quasi generalità dei contribuenti e di esso non si ha una visione complessiva, ma alcune parti vengono considerate, e tassate, secondo parametri ed aliquote diversificati (ad es. immobili e rendite finanziarie). 

È probabilmente giunto il momento per mutare l’approccio “filosofico” che aveva contraddistinto i presupposti della riforma degli anni ’70. Oggi il quadro economico e sociale risulta completamente differente da allora: i nuovi equilibri mondiali stanno rapidamente portando al declino del mondo occidentale, la rivoluzione tecnologica ha di fatto distrutto la classe media e ha scavato un fossato tra ricchi e poveri. Ne è emerso un mondo nuovo, la cui cifra è caratterizzata dall’incertezza. Il Covid-19 ha accelerato e rafforzato questo processo.
In questo quadro, anche il sistema fiscale non può più far finta che la realtà sia ancora esattamente quella di cinquant’anni fa. Una auspicabile riforma dovrebbe farsi carico di un aspetto importante: il fatto stesso di ragionare avendo come riferimento il lavoro dipendente a tempo indeterminato ha oggi perduto di significato, come lo ha la tradizionale divisione tra produttori (categoria prevalentemente composta da lavoratori) e rentier.
Attualmente un individuo è considerato dal mercato come fonte di valore in quanto consumatore. Reddito e ricchezza restano indubbiamente parametri significativi, ma ciò che costituisce il potenziale attrattivo di una realtà territoriale è la capacità di consumo dei suoi abitanti.

E la valutazione di questo potenziale avviene mediante l’estrazione dei dati sensibili che ciascuno di noi concede gratuitamente mentre procede alle transazioni che lo riguardano (dalle scelte di ogni tipo, ai pagamenti). Conservando e processando questa ingente massa di dati, le grandi imprese tecnologiche sono andate costruendo monopoli dotati di tale forza, da una parte, per poter prevalere sulle spinte regolatorie dei poteri pubblici e, dall’altra, per indirizzare a proprio vantaggio sia la domanda per consumi, sia, soprattutto, la produzione di beni e servizi.
L’immane spostamento di ricchezza che ne è derivato ha permesso ai monopolisti di abbassare i prezzi, sino ad un livello compatibile con i bisogni di una classe lavoratrice (ma anche di ex-reddituari) ormai espropriata del precedente tenore di vita, per tal via attraendo milioni - o, meglio, miliardi - di consumatori.
La risposta dei governi (angosciati dalla necessità di far fronte a spese pubbliche sempre crescenti) a questo fenomeno non è stata, come sarebbe stato lecito attendersi, quella di ostacolare un simile processo e di inasprire la tassazione sui monopolisti, ma si è concentrata nello sforzo di cercare di recuperare il gettito che si andava man mano perdendo. Ne è risultato per tal via un inasprimento generalizzato della pressione fiscale (prevalentemente incentrato sulle fasce alte e medio-alte), che ha portato con sé la conseguenza di un ulteriore compressione del reddito disponibile.

L’effetto complessivo è stato quello di ridurre fortemente o addirittura di sopprimere quel minimo di buffer precedentemente a disposizione della fascia centrale dei contribuenti, destinato a far fronte a nuove esigenze e ad indirizzare l’andamento del prodotto nazionale. Ne è uscita rafforzata la tendenza in atto di impoverimento della collettività, ad eccezione di tutti coloro che erano sufficientemente agiati (rentier) da non subire effetti negativi rilevanti (come dimostra anche la crescita impetuosa del consumo di beni di lusso) ovvero in condizione di tali difficoltà da essere destinatari di provvidenze economiche da parte del settore pubblico.
In sostanza, il peso prevalente, se non totale, della rivoluzione informatica e della fame di denaro degli Stati è finito per gravare sulla sezione più numerosa della popolazione - per quantificare, i titolari di reddito tra i 20 mila e i 60 mila euro annui - che si suole definire come classe media. Inoltre, l’inasprimento della pressione fiscale al crescere delle soglie di reddito ha operato come potentissimo disincentivo alla ricerca di un più soddisfacente status economico.

Per cercare di porre rimedio a questo apparentemente inarrestabile processo, si potrebbe tentare di superare l’attuale struttura del prelievo sul reddito personale, per considerare anche i consumi, che rappresentano pur sempre un indice indiretto di capacità contributiva (traendo qualche spunto dall’imposta complementare, ideata da Vanoni e vigente prima della riforma degli anni ’70). A dire la verità, si potrebbe trattare di una strada quasi obbligata, essendosi gli Stati dimostrati incapaci di tassare adeguatamente i titolari di poteri monopolistici. Una strada che comunque in qualche modo produrrebbe di per sé l’effetto, anche questo indiretto, di traslare parte dell’onere che genera su questi ultimi soggetti.

Per tal via, infine, si potrebbe risolvere con generale soddisfazione la questione della progressività del sistema fiscale, si eviterebbe di discriminare i redditi da lavoro dipendente e si scongiurerebbero gli attuali effetti disincentivanti, senza far venir meno l’obiettivo di tendere a realizzare l’equità verticale. Contemporaneamente colpendo, questa volta sul serio, l’evasione.

* Già presidente Consob

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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