Il Tesoro apre il cantiere Irpef: aliquote giù al ceto medio

Il Tesoro apre il cantiere Irpef: aliquote giù al ceto medio
di Andrea Bassi
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Martedì 23 Giugno 2020, 00:32 - Ultimo aggiornamento: 13:57

Mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte offre una sponda ai Cinquestelle sul taglio dell’Iva, al Tesoro riparte il cantiere dell’Irpef in vista della prossima legge di bilancio. Una nuova divaricazione all’interno della maggioranza. La ragione di un taglio a tempo dell’Iva l’ha spiegata direttamente Conte. La riduzione delle aliquote servirebbe, ha detto, a dare un «boost», una spinta ai consumi che, dopo il lockdown, faticano a ripartire. Lo ha fatto del resto la Germania, che ha tagliato l’aliquota ordinaria di 3 punti, dal 19% al 16%, e quella ridotta di due punti, dal 7% al 5%, per sei mesi.

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Replicare lo schema tedesco in Italia, ossia ridurre l’aliquota del 22% al 20% e quella del 10% all’8%, per sei mesi costerebbe 10 miliardi di euro. Al Tesoro su un provvedimento del genere le riflessioni sono appena iniziate. La reazione è fredda. Meglio andare avanti sul cantiere dell’Irpef, con la riduzione delle aliquote, le semplificazioni, e la revisione delle detrazioni e deduzioni. Ieri, per esempio, non c’è stata nessuna riunione operativa sull’Iva.

Gli uffici sono presi dalla predisposizione del Piano Nazionale di Riforma che sarà presentato la prossima settimana in consiglio dei ministri, e dall’assestamento di bilancio che va approvato entro il 30 giugno. Prima di avere una nuova fotografia sullo stato dei conti pubblici è difficile che venga presa una decisione. Non solo. Se si decidesse per il taglio dell’Iva per sei mesi, questa sola misura assorbirebbe tutti e 10 i miliardi di nuovo deficit che il governo vorrebbe approvare. E questo lascerebbe fuori una serie di misure che pure richiedono ingenti finanziamenti: dai soldi per le garanzie pubbliche ai Comuni, alle risorse per i Comuni, fino a quelle per la Cassa integrazione.

LA RIFLESSIONE
Al Tesoro è in corso anche una riflessione sui «costi-benefici» di un taglio generalizzato a tempo delle aliquote. La domanda è semplice. Tagliare anche di 3 punti l’Iva, farebbe davvero ripartire i consumi? Uno sconto di 3 euro ogni 100 di spesa sarebbe sufficiente? Anche considerando che i settori più colpiti dalla crisi, come gli alberghi e la ristorazione, che più hanno necessità di un aiuto immediato, pagano già un’Iva del 10% e, dunque, lo sconto sarebbe minore (2 euro ogni 100).

Così c’è una seconda ipotesi. Tagliare l’Iva in maniera più radicale, magari dimezzandola o azzerandola, ma soltanto per i settori più colpiti dalla crisi: hotel, ristoranti, turismo in generale, abbigliamento. Questo abbattimento dovrebbe però durare più di sei mesi. Due anni almeno, dice il vice ministro grillino Laura Castelli, principale sponsor della misura. Conte vorrebbe poi legare questa riduzione dell’Iva ai pagamenti «cashless», quelli elettronici.

Un’idea già emersa nell’ultima legge di bilancio con anche un meccanismo tecnico già individuato: dal prossimo mese di gennaio chi paga con carta o bancomat dovrebbe ricevere mensilmente una “restituzione” direttamente sul conto di una percentuale della spesa. Solo che i 3 miliardi di euro che erano stati messi da parte per questo bonus, che era stato battezzato «epifania», sono stati sacrificati per coprire in parte il decreto Rilancio. Il vero problema è che una partita così complessa, senza un chiaro accordo politico nella maggioranza, difficilmente potrà essere attuata in pochi giorni. La stessa Castelli ha chiarito che sarebbe meglio parlarne nella prossima legge di Bilancio nell’ambito della più complessiva riforma del Fisco.

LA PRIORITÀ
E qui le cose si complicano ancora di più. Inserire la riduzione dell’Iva nella riforma del Fisco, ridurrebbe la dote per il taglio del cuneo fiscale e l’abbassamento delle aliquote al quale lavora il Tesoro, sponsorizzato dal Pd e dagli stessi Cinquestelle anche se con modalità diverse. Di riforma del Fisco come priorità, ne aveva parlato anche il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini in un’intervista al Messaggero, chiedendo una radicale semplificazione delle migliaia di norme tributarie che rendono complesso tutto il sistema. I Dem (si veda anche altro articolo in pagina), vorrebbero dare un segnale forte al ceto medio, riducendo la terza aliquota fiscale, quella attualmente al 38% e che crea una sorta di scalone dopo i 28 mila euro di reddito.

Uno scalone aggravato ancora di più dal “bonus 100 euro”, voluto dai Dem nell’ultima legge di bilancio, ma che è stato finanziato in parte soltanto per il 2020, introducendo il paradosso per cui, dal prossimo anno, chi guadagna 28 mila euro lordi avrebbe un reddito netto superiore a chi ne guadagna 29 mila. Solo per correggere questa stortura serviranno altri 3 miliardi di euro. Serve insomma tempo per far quadrare tutto. Senza dimenticare che per ottenere i soldi del Recovery fund europeo l’Italia, nelle sue riforme, dovrà rispettare le indicazioni date da Bruxelles nelle sue periodiche pagelle sul Paese, dove non ha mai mancato di chiedere uno spostamento della tassazione dalle persone alle cose.

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