Intesa-Ubi, colosso da mille miliardi: riparte il risiko delle banche italiane

Intesa-Ubi, colosso da mille miliardi: riparte il risiko delle banche italiane
di Rosario Dimito
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Mercoledì 19 Febbraio 2020, 00:43 - Ultimo aggiornamento: 17:33

«Scacco alla regina», dicevano ieri in Piazza Affari. Il blitz a sorpresa di Intesa Sanpaolo su Ubi, con la nascita di un gigante da 980 miliardi di attivo, ha riacceso le fantasie del risiko bancario domestico fornendo al sistema una scossa dopo un torpore di anni. «Bella operazione che smuove le acque», ha detto Carlo Cimbri, ceo di Unipol, coinvolto nell’operazione perché ad esito della fusione, acquisterà le attività assicurative di Ubi e, da primo azionista di Bper, parteciperà alla ricapitalizzazione fino a 1 miliardo per l’acquisto delle 400-500 filiali messe sul mercato da Intesa (Roma, Lombardia, Piemonte, piccole tranche in Umbria e Toscana).
Dunque, niente più guerra tra finanza laica e finanza cattolica, sulla quale fino al 2002 sono corsi fiumi d’inchiostro, soppiantata dai tassi zero che costringe le banche a inventarsi nuovi ricavi, privilegiando digitalizzazione e fintech, come si apprestava a fare il gruppo guidato da Victor Massiah con il nuovo piano, varato poche ore prima che l’Ops di Intesa lo facesse abortire. Le sferzate dell’Eba, Vigilanza Ue e Bankitalia hanno avuto successo. Nel gioco del domino scatenatosi anche per la corsa delle banche d’affari a posizionarsi a caccia di commissioni, è su Banco Bpm che subito si sono appuntati gli occhi essendo una public company senza soci singoli di rilievo (4 Fondazioni e due Casse di previdenza hanno il 7%) e ora appetibile grazie al turnaround realizzato dal ceo Giuseppe Castagna con il ritorno al dividendo e una qualità dell’attivo considerevole espresso da un Npe ratio sceso al 5,2%.

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Candidato naturale alle nozze con Ubi, dopo contatti segreti nell’estate 2019, va detto che la chimica tra i due ceo - Castagna e Massiah - non ha mai funzionato e adesso il banchiere napoletano deve guardarsi le spalle. Ieri, durante il cda dell’istituto svoltosi a Verona, Castagna avrebbe accennato alla necessità di doversi guardare attorno, senza però indicare direzioni. Peraltro, l’ormai prossima nomina di Massimo Tononi alla presidenza (4 aprile) appare provvidenziale, perché il manager trentino con un passato di banchiere d’affari incarna le caratteristiche giuste per integrare lo skill di Castagna, tra relazioni con il governo e alchimie finanziarie. Nel frattempo con Piazza Meda potrebbe schierarsi Barclays, mentre alla finestra ci sono Morgan Stanley, Citi e Goldman pronte a scendere in campo con proprie proposte di potenziale aggregazione.

Alle spalle del Banco potrebbe poi spuntare Unicredit che, nonostante la risolutezza di Mustier («Nessun M&A nell’arco di piano») potrebbe trovarsi costretto ad assumere un’iniziativa per replicare al colpo di Intesa Sanpaolo. Va però osservato che l’eventuale offerta di Unicredit sul Banco avrebbe l’inconveniente, contrariamente alle strategie di Mustier, di consolidare l’istituto di Piazza Gae Aulenti in Italia. Gli advisor tradizionalmente vicini a Mustier sono JpMorgan e Ubs, che hanno guidato due anni fa la ricapitalizzazione da 13 miliardi: nelle ultime ore i top banker delle due istituzioni avrebbero interpellato il banchiere francese riscontrando però freddezza sull’agire subito. Probabilmente Mustier vuole aspettare che le bocce si fermino tra Intesa e Ubi, nel senso che è convinzione diffusa che i soci del gruppo bergamasco vogliano alzare il prezzo dell’operazione. Quanto al Banco, da quel poco che trapela in questa fase, l’orientamento di Castagna sarebbe di presentare il piano industriale martedì 3 marzo, un piano stand alone, meno aggressivo e più tradizionale di quello illustrato lunedì da Ubi. Naturalmente, sempre che Piazza Meda non venga messa nelle condizioni di dover partecipare all’operazione di a riprivatizzazione di Mps, in un’operazione che fino a ieri Castagna non considerava a causa della mancanza di contiguità territoriale. 

«Penso che Bper sarà molto impegnata a fare una buona esecuzione di questa operazione» ha aggiunto Cimbri che ha volutamente glissato sulla possibilità di espansione della banca modenese guidata da Alessandro Vandelli, il quale ha dato il senso della sua partecipazione: «Bper non sta comprando filiali ma base di clienti è questo il punto cruciale dell’accordo». La ex popolare modenese potrebbe essere spinta da Unipol a tuffarsi quanto prima su Siena, visto che in ambienti governativi c’è chi ipotizza una triangolazione tra Banco, Bper e Mps, sebbene i rapporti non fluidi Castagna-Cimbri nel 2017 portarono al divorzio nella bancassicurazione tra Unipol e Banco Bpm. E’ evidente che qualunque proiezione su Mps è subordinata a due condizioni: la pulizia dei 10 miliardi di Npl e Utp che premono sul bilancio di Siena congelata a Bruxelles e la necessità di uno scudo sui 5 miliardi di rischi per le cause in essere. Per non dire degli occhi puntati sull’Italia da parte di Bnp Paribas, Credit Agricole e Santander sempre apertissimi.
 

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