Durigon, sottosegretario al Mef: «Infrastrutture e meno fisco, così il Centro può ripartire»

Durigon, sottosegretario al Mef: «Infrastrutture e meno fisco, così il Centro può ripartire»
di Luca Cifoni
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Giovedì 8 Aprile 2021, 07:13 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 19:58

Sottosegretario all'Economia Claudio Durigon, esiste una questione Centro Italia?
«Certo. Tutti parlano di Nord e Sud ma esiste un'area centrale che sta soffrendo per la crisi oltre che per le conseguenze dei terremoti e in generale continua a scontare carenze infrastrutturali. Non ha molto senso pensare di investire nelle Regioni settentrionali e in quelle meridionali dimenticando che ci deve essere una spina dorsale nel Paese. Che è appunto il Centro».
Oggi le Regioni incontrano il governo sul tema del Revovery Plan. In che misura i fondi straordinari provenienti dall'Unione europea possono contribuire al rilancio di questi territori?
«Il Recovery Plan può dare una spinta molto positiva, rimettendo in moto l'economia e distribuendo in maniera più equa gli investimenti sul territorio nazionale. Però bisogna tener conto di alcuni vincoli del programma europeo. Ci sono da finanziare strade come la Roma-Latina o la Orte-Civitavecchia, opere che attendono da anni: ma questo tipo di spesa non è perfettamente compatibile con le regole che privilegiano una forte componente verde. Per questi obiettivi allora il ministro Franco ha già detto in Parlamento che è allo studio un fondo di finanziamento aggiuntivo, basato su risorse nazionali anche se parallele a quelle del Next Generation Eu».
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza si concentra invece sulle infrastrutture ferroviarie.
«Sì, nell'Italia centrale vuol dire ad esempio la Roma-Pescara, che è fondamentale, con il raddoppio e la modernizzazione della linea. L'importante però è riuscire a liberare questi progetti dal freno della burocrazia. Per questo si può pensare di affidare il livello esecutivo all'Anas, che ha la possibilità di procedere senza bisogno di bandi. Lo snellimento burocratico è essenziale. L'ideale sarebbe poter applicare il modello Genova, ma mi rendo conto che non è facile ripeterlo; però dobbiamo cercare di avvicinarci il più possibile».
Anche per il Centro-Italia quindi il Recovery Plan è un'occasione storica. Il che però rende rilevante il rischio di sbagliare.
«L'importante è capire che i vari strumenti devono essere usati insieme. Le infrastrutture, che comprendono anche la riqualificazione dei porti, l'innovazione digitale, la transizione ecologica. Bisogna mettere tutto a sistema e accompagnare gli investimenti con le riduzioni fiscali che si possono fare. Vale in generale e vale per il Centro».
Le Regioni centrali e in particolare le aree appenniniche soffrono ancora delle conseguenze dei terremoti degli ultimi anni. È possibile incrociare il percorso della ricostruzione che resta da fare con quello più generale della ripartenza di questa parte del Paese?
«Il sisma che ha colpito il Centro-Italia è stato almeno in parte dimenticato. E prima ancora c'era stato quello dell'Aquila, di cui abbiamo da poco celebrato l'anniversario. Su questo tema io ho la delega all'interno del ministero dell'Economia. Servono agevolazioni che spingano le grandi imprese ad investire, serve un vantaggio fiscale per la prevenzione sismica e per l'intervento contro il dissesto idrogeologico. Il modello è quella della Zes, la zona economica speciale che permette di ridurre la pressione delle imposte e crea quindi le condizioni per una vera ripartenza».
Uno dei punti di debolezza del Centro-Italia, se vogliamo di Roma rispetto a Milano, è l'assenza di una rete di città intorno che ne faccia davvero un sistema. Si può fare qualcosa?
«Le città delle Regioni centrali vanno rilanciate, muovendosi in varie direzioni. Sicuramente un punto di partenza è il patrimonio immenso di tradizione artistica e culturale, un potenziale turistico sul quale dobbiamo lavorare per rendere questi centri sempre più attrattivi».
Però accanto al turismo, che probabilmente dovrà attendere un po' per poter avere un rilancio completo, c'è l'industria. E anche qui il panorama non è confortante, costellato di crisi aziendali.
«L'industria soffre dell'ondata di delocalizzazioni degli scorsi anni. Anche qui una tassazione più favorevole può essere la chiave che permette di ripartire. In una fase di ripresa dell'economia possiamo avere la forza di invertire questa tendenza alla delocalizzazione. Nelle nostre aree centrali abbiamo assolute eccellenze, un know how di livello mondiale in settori che vanno dal farmaceutico al calzaturiero e al mobile. Con un opportuno quadro di agevolazioni si può far ripartire questo pezzo importantissimo di made in Italy».

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