Imprese, lo studio: cda italiani ancora poco internazionalizzati

Flavio Zollo, Heidrick & Struggles Milano
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Giovedì 29 Ottobre 2020, 16:36 - Ultimo aggiornamento: 17:30

Heidrick & Struggles Milano, società specializzata in servizi di executive search, ha condotto un’analisi dei principali consigli di amministrazione delle società pubbliche in Europa. Il “Board Monitor” applicato alle aziende presenti nell'indice principale di Piazza Affari Ftse Mib conferma la crescita della quota di consiglieri di estrazione manageriale ma anche una caratterizzazione ancora provinciale dei board.

Il gap tra la maggioranza “tradizionale” (professionisti, accademici e civil servants) e la nuova ondata di profili con esperienza manageriale va progressivamente diminuendo, si legge in una sintesi dello studio curato dal partner di Heidrick & Struggles Milano, Flavio Zollo. Rimane il pregiudizio favorevole verso quelli retired: solo il 22% degli amministratori indipendenti ricopre un ruolo esecutivo il che denota il persistere della visione del board come approdo successivo alla vita manageriale attiva. Tema, questo, che si differenza notevolmente dalla media europea (46%).

Solo il 17% dei consiglieri, continua lo studio, ha una esperienza internazionale. Le riunioni del cda si tengono ancora prevalentemente in italiano e questo le rende poco permeabili al contributo di board member esteri e meno efficaci, specie per contesti fortemente esposti sui mercati globali.

In coerenza con il trend europeo, cresce poi la quota di consiglieri con background finance e visione sui temi di risk. Viene soddisfatta la crescente richiesta di competenze di taglio finanziario, incrociate con quelle di gestione del rischio (tra le più necessarie, come provato dalla incerta gestione della crisi Covid, che ha appunto palesato un gap nell’enterprise risk management).

Ancora carenti le competenze emergenti nei board di mercati più maturi. Saperi digitali in crescita moderata ma ancora insufficiente alla gestione di questi momenti di trasformazione.

Lo stesso – con una carenza ancora più evidente - sui temi di cybersecurity. A fronte di una spiccata richiesta di competenze Esg (Ambiente, sociale e governance), ormai incorporato come criterio di valutazione da parte degli investitori istituzionali, viene espressa una risposta ancora insufficiente e con profili di prevalente matrice accademica.

Si consolida infine la diversità di genere, ma la prospettiva va ampliata a quella di competenze. Le quote di genere funzionano (sia pure con alcuni effetti distorsivi che stimolano l’accumulo di ruoli e riducono l’accesso di nomi nuovi). Diversità non può solo essere di genere ma anche di competenza, background e cultura: un board diverso sotto tutti questi punti di vista è un board che riflette il mondo in cui opera e che lo comprende al meglio risultando quindi più efficace.

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