Ilva, rischio chiusura dopo la sentenza: cassa integrazione per 4mila lavoratori

Ilva, rischio chiusura dopo la sentenza: cassa integrazione per 4mila lavoratori
di Giusy Franzese
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Martedì 1 Giugno 2021, 22:22 - Ultimo aggiornamento: 3 Giugno, 10:27

Dopo la sentenza del processo “Ambiente Svenduto” con le maxi condanne per l’inquinamento dell’Ilva ai tempi della gestione dei Riva, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani non ha dubbi sul futuro della nuova acciaieria a Taranto: «C’è solo una strada: elettrificare tutto, cancellare completamente il carbone, e spingere transizioni ulteriori, come l’idrogeno verde. Se non c’è la salute, il lavoro non ti serve». Il ministro però avverte che il percorso non sarà semplice: «Ricordiamoci che tutto questo ha un effetto sul prezzo dell’acciaio, quello verde costa di più di quello prodotto dagli iraniani e dai cinesi che non badano certamente alle questioni ambientali. Lì c’è un discorso internazionale di protezione, altrimenti facciamo l’acciaio verde che poi non compra nessuno. La complessità di questa cosa è infinita».

 

Detto ciò Cingolani ricorda: «Io ho fatto un piano per togliere il carbone all’altoforno, elettrificarlo e passare subito al gas per abbattere la CO2 del 30%, sperando di essere velocissimi sull’ulteriore passaggio all’idrogeno».

L’accelerazione o meno di questo percorso però dipende dall’altra sentenza in arrivo, quella del Consiglio di Stato che dovrà confermare o annullare l’ordinanza del sindaco di Taranto di chiudere l’area a caldo dello stabilimento. Prima di questa pronuncia - ha ricordato l’altro giorno il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti - non si può avere «il polso della situazione». Lo conferma anche Cingolani: «Taranto va tutelata a tutti i costi, però le sentenze ci diranno che cosa succederà».

LA TRANSIZIONE - Intanto le maxi-condanne comminate con la sentenza “Ambiente svenduto” hanno avuto l’effetto di una frustrata, anche sulla politica. Tutti a invocare ed evocare il passaggio quanto più veloce possibile all’acciaio green. Ne ha parlato anche il segretario del Pd, Enrico Letta: «Per troppi anni in Italia non si è data la giusta importanza alla prospettiva della sostenibilità, non bisognava fare quell‘acciaio lì e in quel modo. Andrò a Taranto fra dieci giorni, per dare il segno del futuro. È una vicenda complicata, bisogna trovare insieme uno sguardo sul futuro per fare sì che sia tutto sostenibile. C‘è bisogno di un acciaio green». Non sono mancate da parte di Letta parole di solidarietà nei confronti dell’ex governatore della Puglia condannato a tre anni: «Credo nella buonafede di Vendola».

LA RICONVERSIONE - La riconversione verso l’acciaio green non è comunque di velocissima attuazione. E così, anche tra i sindacati, resta il timore che il siderurgico possa chiudere completamente prima che il processo sia compiuto. L’azienda per ora non commenta ma intanto fa partire una nuova procedura di cassa integrazione ordinaria: saranno coinvolti 4.000 dipendenti dal 28 giugno per un periodo di 12 settimane. Nella comunicazione inviata ai sindacati Acciaierie d’Italia (già Ilva e poi ArcelorMittal Italia) ricorda che da marzo 2020, ha dovuto fermare alcuni impianti, come l’Afo2 con una riduzione della produzione di ghisa di 5.000 tonnellate al giorno. Un blocco produttivo durato circa un anno con conseguenze sulla produzione a valle sia a Taranto che negli altri stabilimenti. L’azienda riconosce che la richiesta di acciaio nel mondo sta crescendo: «Sono oggi percepibili segnali ottimistici nella crescente e maggiormente stabile domanda di acciaio», salvo poi comunicare di non essere «in condizioni di assicurare l’immediata e totale ripresa in esercizio di tutti gli impianti di produzione e del completo assorbimento della forza lavoro».

I SINDACATI - Una situazione surreale, secondo i sindacati. Spiega Rocco Palombella, leader Uilm: «Lo scorso anno abbiamo importato 5 milioni di tonnellate di acciaio e quest’anno ne importeremo altrettante. Il mercato richiede acciaio a tutta volontà. Il tema è che lo stabilimento di Taranto non è in grado di poterlo produrre, perché su quattro altoforni in esercizio ne abbiamo solo due. Invece di produrre i 6 milioni di tonnellate previsti dalle prescrizioni ambientali, lo stabilimento ne produce 3 milioni. Mancano gli investimenti necessari per poter produrre». 

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