Ilva, si tratta per dimezzare gli esuberi. Capitali pubblici per il salvataggio

Ilva, si tratta per dimezzare gli esuberi. Capitali pubblici per il salvataggio
di Roberta Amoruso Marco Conti
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Domenica 24 Novembre 2019, 10:25 - Ultimo aggiornamento: 10:35

Il negoziato con ArcelorMittal si annuncia lungo e ricco di insidie. Ieri pomeriggio Giuseppe Conte e il ministro Stefano Patuanelli hanno lavorato a palazzo Chigi per mettere a disposizione all'ex Ilva il vettore societario pubblico che dovrebbe entrare nel capitale e gestire, insieme ai franco-indiani, lo stabilimento siderurgico di Taranto.

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Tramontata l'idea di coinvolgere Cassa Depositi e Prestiti, si lavora su Invitalia iniziando dalla più che probabile riconferma dei vertici da tempo scaduti. Mettere a disposizione capitale pubblico serve a dare agli investitori il senso dell'importanza che il Paese ha per il presidio industriale di Taranto. Una sorta di garanzia non solo per gli investitori ma anche per le migliaia di addetti che non possono essere trattati diversamente dai dipendenti di Alitalia.



I NODI
Bloccata la fuga degli investitori con il vertice notturno, ora il governo deve predisporre tutti gli strumenti in grado di convincere i Mittal a restare. Oltre alla partecipazione pubblica nel capitale, occorre mettere sul tavolo gli strumenti per gestire gli esuberi e lo scudo penale che palazzo Chigi continua a tenere in fondo alla trattativa, ma senza il quale è impossibile gestire qualunque ripertenza. L'attesa è ora per il piano industriale che nei prossimi giorni Lucia Morselli, ad di Mittal-Italia, dovrebbe illustrare al ministro Patuanelli.

Toccherà poi al responsabile dello Sviluppo Economico avviare con l'azienda la trattativa con i sindacati. L'apertura fatta ieri l'altro dal governo ad un nuovo ricorso alla cassa integrazione, ha scatenato subito i sindacati, ma per Conte se l'alternativa è la chiusura degli altiforni, vale la pena trattare nella speranza che si riprenda il mercato dell'acciaio e che l'Europa riveda le quote di importazioni da paesi extra-Ue.

La buona notizia, intanto, è il «quadro di normalità» che trapela da fonti vicine ad ArcelorMittal, nei livelli produttivi e negli ordini, con l'intenzione di pagare il 60% delle fatture scadute per l'indotto-appalto «entro lunedì 2 dicembre». E anche se manca ancora una risposta alla richiesta, ribadita dal premier, di garanzie dalla multinazionale a non staccare la spina agli impianti già a gennaio, i toni di ArcelorMittal sembrano diventati più concilianti.

L'incontro «per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è stato costruttivo», ha fatto sapere la multinazionale. «Le discussioni continueranno con l'obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto». Segno che si è boccata la strada di una trattativa concreta. Ma ci vuole tempo per entrare nel vivo di un negoziato che rivedrebbe il piano industriale puntando a una roadmap per la decarbonizzazione.

Lo schema di massima prevede la riduzione degli altiforni e la conversione (anche con finanziamento pubblico) verso sistemi produttivi innovativi e più sostenibili. E oltre all'ipotesi di un ingresso dello Stato in una Newco che si occuperebbe della decarbonizzazione, potrebbero avere un ruolo nel nuovo piano di rilancio anche controllate minori non quotate della stessa Cdp. Mentre a Fincantieri potrebbe essere affidato il compito di contribuire alla riduzione degli esuberi.

Il nodo più difficile da sciogliere rimane infatti quello degli esuberi sui 10.700 dipendenti di Taranto a quali si affiancano i lavoratori liguri. Per superare lo scoglio delle 5.000 uscite chieste da ArcelorMittal si punterà a un mix di stumenti che potrebbero quantomeno dimezzare i tagli. Di qui l'idea di un decreto ad hoc per Taranto con l'intervento di società appunto a controllo pubblico, accanto al ricorso alla cassa integrazione per 2-2.500 lavoratori. Un numero in cui l'esecutivo vorrebbe includere i quasi 1.400 lavoratori oggi già in Cig.

Questo permetterebbe un ridimensionamento della produzione (già scesa a 4,5 milioni di tonnellate). I numeri sono ancora tutti da definire, ma sarà comunque un piano con target produttivi più bassi rispetto alle sei milioni di tonnellate annue previste a regime lo scorso anno.

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