Ilva, aumento di capitale a rischio se confermato lo stop agli altiforni

Ilva, aumento di capitale a rischio se confermato lo stop agli altiforni
di Giusy Franzese
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Giovedì 11 Marzo 2021, 16:52 - Ultimo aggiornamento: 17:14

Attenzione massima e scenari alternativi già predisposti. È una data particolarmente importante quella di oggi per il destino della nuova Ilva. Il Consiglio di Stato in sede collegiale deciderà se accogliere la richiesta di sospensiva presentata dagli avvocati di ArcelorMittal dell'ordinanza di chiusura dell'area a caldo dello stabilimento di Taranto. Se il responso dovesse essere negativo, ovvero i giudici non dovessero sospendere, il destino dell'ex Ilva cambierà ancora. A cominciare dal mancato avvio dell'aumento di capitale da 400 milioni che, in base all'accordo siglato a dicembre scorso, dovrebbe far entrare lo Stato nell'azienda. Rispetto all'intesa siamo già in ritardo di quasi un mese: doveva essere fatto entro il 15 febbraio. Ma la crisi di governo prima, e la sentenza del Tar sulla chiusura dell'area a caldo poi, ha messo tutto in stand-by. In queste ore al Ministero dell'Economia non fanno mistero del fatto che l'obbligo di procedere con la chiusura dell'area a caldo, potrebbe far saltare tutto.
Il fatto è che, aldilà delle dichiarazioni di chi sa ma fa finta di non sapere, spegnere gli altiforni ora (entro il 13 aprile dovrebbero smettere di funzionare) significa chiudere definitivamente la fabbrica. Il passaggio all'elettrico e al green - che pure è previsto nell'accordo di rilancio dell'acciaieria con una produzione però ibrida - richiede anni e nel frattempo le quote di mercato verrebbero accaparrate da altri produttori. Lo stesso ministro del Mise, Giancarlo Giorgetti, in audizione in parlamento qualche settimana fa, ha ammesso che l'11 marzo e la decisione del Consiglio di Stato sarà un «passaggio fondamentale per valutare le iniziative da adottare».


TRE SCENARI
Se tutto va per il verso giusto, scatta il piano A: aumento di capitale, ingresso con il 50% nel capitale, e avvio della cogestione pubblico-privato con la nomina da parte del governo di tre membri del cda in vista del rilancio e dello sviluppo dell'acciaieria di Taranto, con un percorso già segnato verso la decabornizzazione.
Sulle scrivanie dei ministri Giorgetti e Franco, nell'ipotesi che la sospensiva non dovese essere concessa, sarebbe pronto anche un piano B: un decreto che, facendo leva sulla golden power e le produzioni strategiche per il Paese, consenta ad ArcelorMittal di non avviare le procedure di spegnimento, che una volta concluse di fatto rendono irreparabili i danni. Nella lunga e tormentata vicenda dell'Ilva non sarebbe la prima volta di un intervento del governo per contrastare decisioni della magistratura. Lo fece il governo Monti nel 2012 con un decreto che consentì la facoltà d'uso dello stabilimento e degli impianti dopo il sequestro effettuato dalla magistratura. Di golden power e conseguente legge speciale per la siderurgia, ne hanno accennato anche i ministri Giorgetti e Orlando durante l'incontro avuto con i sindacati a febbraio.
C'è poi il piano C: l'addio definitivo di ArcelorMittal per forza maggiore con tanto di richiesta di danni milionari al governo che non ha mantenuto i patti faticosamente raggiunti a dicembre scorso. Sarebbe il disastro totale. In mano al governo resterebbero solo i frammenti di quello che un tempo era un diamante della produzione siderurgica italiana. E sarebbe davvero una beffa, visto che con le risorse del Recovery fund finalmente si potrebbe realizzare quel sogno tanto atteso dai tarantini: la possibilità di lavorare senza rischiare per la propria salute e per l'ambiente.
 

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