Ilva, ArcelorMittal e governo trattano: l'azienda apre al confronto

Ilva, ArcelorMittal e govero trattano: l'azienda apre al confronto
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Sabato 23 Novembre 2019, 20:27 - Ultimo aggiornamento: 24 Novembre, 10:25

Un compromesso per superare il muro contro muro sugli impianti della ex Ilva. Con ArcelorMittal costretta dall'offensiva giudiziaria a restare a Taranto. E il governo ad aprire all'ulteriore ricorso alla cassa integrazione, a un ridimensionamento della produzione nel lungo periodo, fino a un possibile ruolo del settore pubblico nella riconversione ambientale.

Il tavolo di ieri fra il governo e i vertici di ArcelorMittal potrebbe aver sbloccato lo stallo che aveva fatto fibrillare la maggioranza dopo l'annuncio del colosso siderurgico di staccare la spina all'ex Ilva a gennaio. La strada sembra essere quella di un lungo negoziato, al netto di possibili, ulteriori colpi di scena che invitano alla prudenza: bene che Mittal si sia nuovamente seduta al tavolo - dice il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano - ma «non ci si deve fare illusioni, non credo che Mittal si innamorerà nuovamente dell'Ilva». Più ottimista il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri: «Si sono create condizioni e la situazione si è rimessa su binari positivi».

Da fonti vicine ad ArcelorMittal trapela una «quadro di normalità» nei livelli produttivi e negli ordini, con l'intenzione di pagare il 60% delle fatture scadute per l'indotto-appalto «entro lunedì 2 dicembre». Le ditte dell'indotto, che rivendicano il saldo delle fatture, sono infatti al sesto giorno consecutivo di presidio delle portinerie dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ancora non ha risposta la richiesta, ribadita ieri dal premier Giuseppe Conte, di garanzie dalla multinazionale a non staccare la spina agli impianti già a gennaio. Ma i toni di ArcelorMittal si sono fatti più concilianti. L'incontro «per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è stato costruttivo», si legge in una nota della multinazionale siderurgica. «Le discussioni continueranno con l'obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto».

Prevale la volontà di deporre le armi, dunque. Troppo alti per ArcelorMittal i rischi dall'apertura dei vari fronti giudiziari in Italia. Elevatissimi i costi politici dell'attuale stallo, per il governo. Che per facilitare la trattativa, avrebbe deciso una mossa diplomatica. Non arrivare a far sconfessare la tattica di ArcelorMittal per via giudiziaria, ma invitare i commissari dell'Ilva ad acconsentire a una «breve dilazione» - come spiegava ieri una nota di Palazzo Chigi - dell'udienza del 27 novembre al Tribunale di Milano da cui ci si aspetta una dichiarazione di illegittimità della decisione della multinazionale.

Guadagnare tempo, dunque, per entrare nel vivo di un lungo negoziato che rivedrebbe il piano industriale puntando a una roadmap per la decarbonizzazione. Meno altiforni, conversione (anche con finanziamento pubblico) verso sistemi produttivi innovativi e più sostenibili. Con l'ipotesi di un ingresso dello Stato - probabilmente tramite Cdp - in una newco che si occuperebbe della decarbonizzazione. E quella di un decreto ad hoc per Taranto, probabilmente prima di Natale, con l'intervento di società a controllo pubblico che contribuirebbero a ridurre l'impatto degli esuberi.

L'esecutivo, peraltro, aprirebbe a minori livelli produttivi (già scesi a 4,5 da 6 milioni di tonnellate) nel lungo termine.
Ma con una linea rossa: il no all'ipotesi che i 5.000 esuberi dichiarati da Am Investco, la soceità di Mittal chje gestisce l'impianto, divengano licenziamenti tout court. È qui il nodo più difficile del negoziato: la via maestra sarebbe il ricorso agli ammortizzatori sociali (il rifinanziamento per le aree coinvolte in crisi complesse potrebbe entrare nella manovra) con cassa integrazione per 2-2.500 lavoratori. 

 

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