Le notizie positive sono solo due, entrambe provenienti dalla Borsa di Chicago. La prima: per la seconda settimana consecutiva l’indice dei future sul grano duro “durum” è in diminuzione (-1,39%). La seconda: i prossimi raccolti estivi non dovrebbero subire la stessa drammatica siccità che lo scorso anno aveva dimezzato le quantità e abbassato la qualità della produzione di Usa e Canada, Paesi da cui importiamo la maggior quantità di materia prima per l’industria della pasta. Stop alle buone notizie. La situazione non cambierà neanche nelle prossime settimane in virtù dei 200 mila ettari immediatamente coltivabili, grazie alla decisione dell’Ue che ha “liberato” il 5% dei terreni che avrebbero dovuto riposare. Ad aprile sarà difficile per la maggior parte degli agricoltori seminare. Infatti tranne pochissime varietà, le diverse tipologie di grano vengono seminate in settembre e quindi gli eventuali raccolti aggiuntivi si avranno solo nel 2023. È più probabile che nei terreni ora disponibili venga coltivato il mais necessario agli allevamenti di bestiame, anche questo in forte crisi di disponibilità con la chiusura dei porti del Mar Nero e il blocco dell’export da Ucraina e Russia. Un problema che interessa l’Italia ma anche molti altri Paesi in Europa. Le altre notizie - più o meno legate alla guerra in Ucraina - purtroppo indicano il rischio, anzi la certezza, di ulteriori aumenti dei prezzi e nubi sugli approvvigionamenti futuri di frumento. A denti stretti gli imprenditori della filiera ipotizzano ulteriori incrementi di prezzo del 40% per il grano duro (e leggermente meno per il tenero). Poi bisognerà capire come gli aumenti della materia prima influiranno al dettaglio.
I prezzi
Dalla scorsa estate una tonnellata di grano duro di qualità media è passata da 280 euro ai 500 di oggi (+ 44%); il grano tenero dai 220 euro ai 400 euro (+ 45%).
La svolta Ue
A pesare sugli aumenti non è però solo la materia prima, perché rilevante è la parte che riguarda i costi dell’energia e del petrolio, che ricadono in primo luogo sui trasporti. «Incredibilmente – spiega l’imprenditore dolciario veneto Dario Loison – attualmente la spedizione di un container dall’America vale quanto il grano che contiene». Non c’è dubbio che al momento non si comprende neanche chi subisca maggiormente la situazione. «Siamo tutti vittime – precisa Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare – inutile cercare un capro espiatorio nella filiera. Gli agricoltori si lamentano, noi industriali ci lamentiamo, chi trasforma ancora dopo di noi si lamenta. Ci è capitato uno tsunami mai visto prima, l’intera catena è andata in difficoltà». E poi c’è la speculazione. «Basti pensare – aggiunge – che alla Borsa di Chicago ogni 10 quintali fisici di cereali trattati, ce ne sono 100 virtuali legati ai futures».