Google nel mirino dell’Antitrust: «Domina sulla pubblicità on line»

Google nel mirino dell Antitrust: «Domina sulla pubblicità on line»
di Jacopo Orsini
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Giovedì 29 Ottobre 2020, 00:47 - Ultimo aggiornamento: 03:51

ROMA Cresce la pressione delle autorità antitrust di tutto il mondo su Google, il motore di ricerca più usato del web. Il Garante della concorrenza italiano ha annunciato ieri di aver aperto una indagine per abuso di posizione dominante nel mercato italiano della pubblicità on line e in particolare nel «display advertising», i servizi di intermediazione degli annunci che compaiono sui siti internet, un settore che vale oltre un miliardo di euro e dove il colosso californiano ha una quota di mercato superiore all’80%. Pochi giorni fa era stato il dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti ad annunciare una causa contro l’azienda, accusata di essere monopolista nelle ricerche e nella pubblicità digitale e di soffocare la concorrenza. Una mossa che ha fatto ipotizzare anche un possibile spezzatino della società.

Google, Antitrust indaga per abuso posizione dominante: ispezioni nelle sue sedi

«Nel cruciale mercato della pubblicità online, che Google controlla anche grazie alla sua posizione dominante su larga parte della filiera digitale, l’Autorità contesta alla società l’utilizzo discriminatorio dell’enorme mole di dati raccolti attraverso le proprie applicazioni, impedendo agli operatori concorrenti nei mercati della raccolta pubblicitaria online di poter competere in modo efficace», spiega l’Antitrust, ricordando che complessivamente il comparto nel 2019 ha registrato un giro d’affari in Italia di 3,3 miliardi, pari al 22% delle risorse del settore dei media.


LA PERSONALIZZAZIONE
Google - sempre secondo l’Autorità garante della concorrenza che ha inviato la Guardia di finanza nelle sedi del gruppo - è in grado di «acquisire dati rilevanti per la scelta di consumo dell’utente e personalizzare così le successive campagne, orientando il posizionamento dei messaggi sui contenuti di interesse del singolo» consumatore. Inoltre, grazie al sistema operativo mobile Android, installato sulla maggior parte degli smartphone utilizzati in Italia, al browser Chrome, ai servizi di navigazione Google maps, di posta elettronica Gmail e video Youtube, è in grado «di ricostruire in maniera dettagliata il profilo dei soggetti cui indirizzare i messaggi pubblicitari». In sostanza l’accusa a Google è di rifiutarsi di condividere con i competitor queste informazioni chiave sul comportamento e le preferenze dei navigatori raccolte grazie alla sua posizione dominante sul web. «Condotte commerciali - insiste l’autorità - non replicabili, suscettibili di ostacolare i propri concorrenti non integrati e di mantenere e rafforzare ulteriormente il proprio potere di mercato». Comportamenti, continua il Garante, che inoltre «sembrano avere un significativo impatto sulla concorrenza nei diversi mercati della filiera del digital advertising con ampie ricadute sui competitor e sui consumatori». Queste restrizioni alla concorrenza evidenziate, conclude l’Antitrust, potrebbero infatti «ridurre le risorse destinate ai produttori di siti web e agli editori, impoverendo così la qualità dei contenuti diretti ai clienti finali» e «scoraggiare l’innovazione».
«La pubblicità digitale aiuta le aziende a trovare clienti e supporta i siti web e i produttori di contenuti che le persone conoscono e apprezzano», è la replica di Google che sottolinea anche come sotto indagine siano finite misure adottate «per proteggere la privacy delle persone» e rispondere ai requisiti del Regolamento europeo sulla protezione dei dati (Gdpr). «Continueremo a lavorare in modo costruttivo con le autorità italiane», aggiunge la società.
Soddisfatto infine il Consiglio degli Editori Ue (Epc). «Google è dominante», afferma l’organismo, e grazie alla sua «posizione ineguagliabile e alla colonizzazione dei dati» è in grado di sfruttare il sistema «a svantaggio degli editori e, in ultima analisi, dei lettori, poiché minori entrate pubblicitarie portano a minori investimenti nel giornalismo con un impatto dannoso e a lungo termine sulla pluralità dei media».

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