Generali, Sapelli: «Bisogna dire basta allo strapotere dei manager»

Sapelli: «Con quello che guadagnano devono fare molto più dell'ordinario»

Generali, Giulio Sapelli: «Bisogna dire basta allo strapotere dei manager»
di Christian Martino
4 Minuti di Lettura
Domenica 24 Aprile 2022, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 14:52

«Non la difesa dell’italianità a tutti i costi, ma la difesa di chi ha dimostrato con i fatti di saper lavorare oltre l’ordinario». L’economista e storico Giulio Sapelli non ha dubbi su quale dovrebbe essere il vero motore delle imprese, in particolare per gruppi complessi e di profilo internazionale come le Generali. E mentre si avvicina l’appuntamento del 29 aprile che vedrà gli azionisti della compagnia impegnati a rinnovare il consiglio di amministrazione, Sapelli torna a invocare la “good governance” anglosassone. «È giunto il tempo di ridimensionare lo strapotere dei manager e di dotarci di codici di condotta migliori per queste grandi società», spiega all’agenzia Adnkronos.

Banca Generali, assemblea approva bilancio 2021 e dividendo

L’INTERESSE NAZIONALE

«Non ha più senso parlare di italianità.

Noi abbiamo delle banche popolari francesi in Italia che lavorano benissimo. Io sono un fanatico delle banche cooperative, ma che siano italiane o francesi non importa, basta che facciano bene. E comunque ci sono altri modi per difendere l’interesse nazionale, che va certamente esaltato in certe situazioni, ma solo ricorrendo a buone leggi sulla governance aziendale che il Parlamento dovrebbe cominciare ad affrontare». Sull’ipotesi che in Italia manchino buoni dirigenti, Sapelli replica che «nell’industria ci sono ancora validissimi manager». E aggiunge: «Mi sembra che la questione riguardi le grandi banche d’affari. Ebbene, i grandi manager delle banche d’affari sono grandi solo perché sono enormemente pagati. Basta scavare nelle attività di alcune di esse per avere un’idea più chiara di come fanno gli utili».

Russia, il 70% delle aziende italiane presenti non intende lasciare il Paese

LA PUBLIC COMPANY

L’accademico, che è stato anche dirigente d’azienda, in precedenza era intervenuto sul tema della “lista del cda” riferendosi proprio al caso Generali. «È una violazione di quelli che sono i principi della “good governance” anglosassone», aveva sottolineato condividendo le critiche dei due principali azionisti privati della compagnia, Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del vecchio. «Uno dei principi della buona governance - aveva spiegato - dice che è possibile fare una lista del cda nelle public company, purché non abbiano nuclei di controllo, senza noccioli duri insomma». Nel caso di Generali, che di fatto ha un nocciolo duro, che il consiglio uscente abbia presentato una propria lista «è quanto di più cattivo si possa immaginare in tema di governance». Generali, aveva continuato Sapelli, «è una public company a media volatilità, ma con un nocciolo duro nell’azionariato come Mediobanca, per cui è una public company per modo di dire. E presentare una lista del cda in questa situazione è una chiara violazione dei principi della good governance». In questo senso «sarebbe stato più trasparente che Mediobanca presentasse la propria lista». Anche il prestito titoli cui ricorre Mediobanca, sul quale curiosamente la Consob non si è ancora pronunciata nonostante la palese violazione dell’etica finanziaria, «è una cosa inaudita, che il mercato e gli azionisti si affittino è inquietante». Il fatto che il prestito titoli sia una prassi non normata in Italia, non vuol dire che sia lecito usarla, soprattutto in situazioni di grande delicatezza. Ma, aveva sottolineato l’economista, poiché i pilastri della buona governance sono «la trasparenza e la responsabilità, prima del vuoto normativo c’è il comportarsi rispettando i principi del libero mercato, che una volta si fondava su una franca stretta di mano».

Infine, sull’accentramento di poteri eccessivi nelle mani dell’attuale ceo di Generali, Sapelli aveva ricordato che «i principi dominanti di un’organizzazione che produce valore sono due: la frugalità e il decentramento». In ogni caso, Sapelli si dice «molto contento che abbia luogo questa battaglia, perché scuote un po’ la foresta pietrificata che vede in Mediobanca il pilastro portante».

© RIPRODUZIONE RISERVATA