Gas, revoche su giacimenti possono far perdere fino a un miliardo di metri cubi all'anno. Il governo pensa a correttivi

iL PIANO DEL GOVERNO
di Roberta Amoruso
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Venerdì 8 Aprile 2022, 19:24

Continua la caccia al gas estero del governo. Tra Algeria Angola, Congo, Qatar, Azerbaijan e Gnl Usa, si possono recuperare 20 dei 29 miliardi di metri cubi che oggi arrivano da Mosca. Ma c’è un altro fronte, quello dei paletti sulla produzione nazionale di gas, sul quale il governo deve studiare dei correttivi e degli acceleratori se vuole centrare davvero l’obiettivo di incrementare l’estrazione nazionale.

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L’emergenza guerra non ha fatto altro che rendere più urgente questo dossier, visto che il Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee per l’esplorazione e produzione di metano, approvato prima dell’avvio della guerra ha già prodotto le sue distorsioni.

Secondo l’analisi di Assorisorse, l’approvazione del Pitesai introduce nuovi vincoli che gravano sull’attività estrattiva oil&gas. Dal punto di vista esplorativo, si registra la revoca di 42 titoli su 45 (tra istanze e permessi di ricerca) e di fatto l’azzeramento delle attività future, sia a Terra che a Mare. Relativamente alle 123 concessioni minerarie, di cui 108 relative al gas, oltre il 70% ricade in aree definite come “non idonee”, limitando fortemente le prospettive di produzione per effetto delle incertezze sulla possibilità di effettuare nuovi investimenti. Di queste concessioni, 20 saranno revocate e 45 saranno soggette a verifica per stabilire il prosieguo o meno delle attività. Ben 37 delle istanze presentate per gas e petrolio tra 2004 e il 2009 sono appena state rigettate dal Mite, proprio in ottemperanza al famoso Pitesai. Un paradosso in tempi di caro-energia. Ora il governo sta studiando dei correttivi ed è pronto ad intervenire con un intervento ad hoc pur di centrare l’obiettivo di 5 miliardi di produzione nazionale promesso a febbraio.

LE MODIFICHE

La produzione di gas nazionale arriverà fino a 2,2 miliardi in più nel giro di un paio d’anni, ha promesso il governo e in particolare il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani nell’ennesimo decreto del 18 febbraio scorso contro il caro-energia. E lo ha fatto a pochi giorni dall’approvazione, il 12 febbraio, proprio del Pitesai. Un piano pieno di vincoli e paletti che rischiano di far spegnere fino a 1 miliardo di produzione di gas all’anno. Il risultato è che, se non cambiano le cose, la nostra produzione di gas farà un passo avanti e uno indietro nei prossimi due anni. E l’obiettivo dei 5 miliardi complessivi un traguardo difficile. 

L’ACCELERAZIONE

Si tratta dunque di accelerare l’inter di avvio della produzione nel canale di Sicilia, dove cioè il progetto Cassiopea. E di fare altrettante negli altri progetti con potenzialità in particolare nelle Marche. Ma si sta studiando anche opzioni e modalità per smussare certi paletti troppo rigidi previsti dal Pitesai. Un documento voluto dal governo Conte nella sua strategie “no trivelle” che ha richiesto tre anni di gestazione, e che nonostante la stretta impressa a fine anno da Cingolani e lo sforzo dei tecnici di correggere certi eccessi, ha prodotto comunque importanti strettoie per la produzione futura. Non solo. L’inizio della guerra in Ucraina il 24 febbraio ha cambiato ulteriormente lo scenario già modificato a inizio anno rispetto al disegno di una transizione rapida e non così dolorosa. L’emergenza non ammette più paletti e lungaggini, continuano a dire da più fronti nel governo. E allora l’idea è che interverrà un provvedimento ad hoc, all’occorrenza, per derogare dal Pitesai. S tratta di non bloccare investimenti indispensabili in questo momento dopo che negli ultimi 20 anni, ha ricordato di recente lo stesso ministro Cingolani alla Camera, «la produzione nazionale di gas naturale si è ridotta, per il calo naturale dei giacimenti e l’assenza di investimenti in produzione e ricerca da circa 15 miliardi di metri cubi ai 3,3 attuali». Di qui la dipendenza per il 95% dall’estero per i consumi di gas. Il 40% dei consumi dipendono dalla Russia. Ma in 24-36 mesi «è ragionevole dire che possiamo abbandonare completamente la dipendenza dal gas russo», ha ribadito ieri il ministro.

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