Un serbatoio di stoccaggio di gas aggiuntivo di emergenza, con 7 miliardi di metri cubi in più di metano messo da parte per affrontare un eventuale deficit magari già quest’inverno, e poi nei prossimi anni. È questa la misura che potrebbe salvare l’Italia anche da un piano di razionamenti dolorosi per l’industria, in caso di inverno particolarmente freddo o altri intoppi tecnici negli afflussi dall’estero. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha accennato l’opzione sul tavolo anche al premier in pectore, Giorgia Meloni. Perché sarà il nuovo governo, eventualmente, a dover approfondire il dossier e dare il via libera all’operazione. Certo, vanno fatte tutte le valutazioni tecniche del caso. Comprese quelle legate ai tempi. Ma se la manovra riuscisse, senza inciampare nei soliti veti e paletti burocratici, si potrebbe superare persino la capacità di stoccaggio della Germania (circa 24 miliardi di metri cubi), un Paese che consuma circa 100 miliardi di metri cubi di metano, contro i 76 dell’Italia. Basterebbe per esempio utilizzare parte dei campi esauriti e non più utilizzati per le estrazioni dai colossi energetici, come quelli concentrati prevalentemente nell’Adriatico, nel Ravennate.
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I NODI
A confermare la percorribilità di una strada del genere è stato ieri anche l’ad dell’Eni, Claudio Descalzi, nel corso del Webinar organizzato dal Messaggero. «Abbiamo la possibilità di aumentare gli stoccaggi di 5-6-7 miliardi, perché abbiamo molti campi esauriti che possono essere trasformati in stoccaggio, per avere un polmone molto più importante, che ci dia una ridondanza nell’infrastruttura»,
Il punto di partenza sono dunque gli stoccaggi di gas oggi già pieni per circa il 93%, con 18 miliardi di metri cubi.
LA PRODUZIONE NAZIONALE
Sarà sempre Cingolani, in continuo contatto con Meloni, ancora per una manciata di giorni a curare la gestazione del tetto al gas, o meglio «del corridoio di oscillazione sul mercato», per ricordare la proposta anti-speculazione avanzata dall’Italia. Ci sono invece due dossier che dovrebbero finire sul tavolo dei primissimi provvedimenti del governo Meloni, accanto a quello sui nuovi aiuti a imprese e famiglie. Il primo dossier riguarda il Decreto sul “gas release”. Cingolani aveva già scritto l’intero provvedimento che prevedeva un ulteriore incremento della produzione di gas nazionale, pari a 6 miliardi di metri cubi, da vendere a prezzi calmierati alle imprese. Non nuove trivellazioni, ma sfruttamento più intensivo delle zone limitrofe ai giacimenti già esistenti nel Canale di Sicilia e nell’Adriatico. Ma il provvedimento è stato bloccato alla vigilia delle elezioni. Troppe preoccupazione per i veti di Pd e M5S. Ora tocca al nuovo esecutivo riaprire il file.
Intanto dopo l’ultimo pacchetto di 8 impianti rinnovabili sbloccati dalle maglie dei veti delle sovrintendenze, sale a 33 il conto delle autorizzazioni di impianti da fonti rinnovabili sbloccati nel 2022 dal governo, per un totale di circa 1,6 gigawatt. Impianti tra Basilicata, Puglia, Sardegna e Toscana “liberati” dalle semplificazioni scattate con il primo decreto “Aiuti”.