Draghi: «Un piano pubblico-privati contro il rischio di dissesti a catena»

Draghi: «Un piano pubblico-privati contro il rischio di dissesti a catena»
di Luca Cifoni
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Martedì 15 Dicembre 2020, 00:33 - Ultimo aggiornamento: 14:49

A fine marzo Mario Draghi aveva sollecitato i governi a muoversi presto, anche preparandosi a una crescita record dei debiti pubblici, per assorbire la minaccia portata alle imprese dal coronavirus. Una minaccia che altrimenti avrebbe potuto essere mortale. Quasi nove mesi dopo, come co-presidente del gruppo di lavoro del G30 sulla rivitalizzazione delle imprese, chiede di passare dalla fase dei massicci sostegni statali all’economia a interventi su misura, in grado di evitare un rischio di fallimento per adesso nascosto ma tutt’altro che scomparso. Dall’intervento dall’ex governatore della Bce apparso sul Financial Times molte cose sono successe, ma nel mondo il senso di incertezza resta alto.

Crisi economica, Draghi: Siamo sull'orlo del precipizio in termini di solvibilità 

Non solo sul fronte sanitario; nessuno è in grado di dire quali attività economiche potranno essere effettivamente redditizie nell’era post pandemica, e a quali cambiamenti dovranno andare incontro le aziende per adattarsi al nuovo ambiente.

IL PERCORSO

Il rapporto del Gruppo dei Trenta - un organismo indipendente che mette insieme a livello globale figure di spicco del pubblico, del privato e del mondo accademico - prova a suggerire un percorso in questo terreno accidentato e pieno di incognite.

Offrendo alla politica, a livello internazionale, anche una sorta di cassetta degli attrezzi di cui servirsi per delineare interventi che comunque dovranno essere diversi nei vari Paesi, per adattarsi alle situazioni e alle esigenze locali. Ci sono alcune indicazioni di fondo che emergono: appunto quella di trovare soluzioni mirate, su misura per i vari contesti; la necessità di coinvolgere il settore privato; l’incoraggiamento ad avviare un processo per distinguere le attività che possono avere un futuro - anche nello scenario provvisorio che potrebbe profilarsi - e quelle che invece rischiano di non averlo. Il tono generale del rapporto è quello della preoccupazione, dell’allarme; ma non del pessimismo sulle possibilità dell’economia globale di superare questa fase.

E in questa linea si colloca pienamente anche Draghi. «Bisogna agire urgentemente, perché la crisi di liquidità che sta emergendo già erode la forza delle attività economiche in molti Paesi» ha argomentato l’ex numero uno di Francoforte, avvertendo in particolare che «il problema è peggiore di come appare in superficie, visto che il massiccio afflusso di liquidità e la confusione indotta dalla natura senza precedenti di questa crisi stanno mascherando la reale portata del problema». Insomma non c’è tempo da perdere, perché per Draghi «siamo sull’orlo di un precipizio di insolvenze, specialmente di piccole e medie imprese, quando i programmi di sostegno andranno a terminare e il patrimonio netto delle aziende sarà divorato dalle perdite».

La preoccupazione per le piccole imprese, che di fatto dovranno continuare fare affidamento in misura rilevante sul credito, va di pari passo con l’attenzione a quanto accade nel mondo bancario. Il rischio è quello del corto circuito: gli istituti di credito potrebbero non essere più in grado di fare il proprio mestiere e poi trovarsi a loro volta in difficoltà. «I crediti deteriorati - ha avvertito ancora Draghi - sono una minaccia soprattutto per la capacità delle banche di sostenere l’economia».

LE NUOVE REALTÀ

L’altro co-presidente del gruppo di lavoro, l’ex governatore della banca centrale indiana Raghuram Rajan, ha sottolineato che «gli strumenti di supporto si devono adattare alle nuove realtà dell’economia invece di affidarsi allo status quo». Insomma non è più il momento di «comprare tempo con la liquidità». Proprio la capacità di trovare una forma di intervento equilibrata degli Stati sarà la sfida più complessa in questi tempi in cui vari Paesi devono ancora mettere in conto prolungate chiusure di alcune attività economiche. Il rapporto evidenzia come il coinvolgimento dei privati - utile in una fase in cui bilanci pubblici sono già messi a dura prova, possa essere importante su vari fronti: per il passaggio graduale dal debito agli investimenti di capitale (anche attraverso strumenti di quasi-equity, ovvero legati ai risultati dell’azienda) ma anche per la capacità dei privati di valutare a fondo la futura redditività di un’attività economica e la fattibilità dei progetti. 

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