Che i consumatori siano destinati a «pagare il conto» finale lo dimostra anche la previsione di uno studio della Fed di New York: l'ultimo round di dazi Usa alla Cina peserà per 800 dollari a famiglia, per 106 miliardi di dollari totali all'anno. Quanto basta per giustificare il nervosismo delle Borse: le perdite, partite da Tokyo (-0,62%) e Shanghai (-1,36%), sono poi arrivate in Europa (Milano a -2,12%, Londra a -1,41%) e a Wall Street, con Dow Jones e Nasdaq in rosso di oltre l'1%.
La Cina ha presentato «una grave protesta formale» contro gli Usa lamentando la denigrazione e le azioni a danno di Huawei, a cui è stato impedito l'acquisto di parti hi-tech da fornitori americani, nell'escalation della guerra commerciale. «Prenderemo tutte le misure necessarie per aiutare le compagnie cinesi a migliorare la capacità nella gestione di questi rischi», ha assicurato il portavoce del ministero del Commercio, Gao Feng. Il colosso di Shenzhen ha tenuto ancora banco: se Panasonic, Toshiba e Arm si avviano a negargli i loro microchip, il guanto di sfida è la ufficializzazione che il sistema operativo made in Huawei, dopo lo stop di Google su Android, sarà lanciato al
più presto in autunno o non oltre la primavera del 2020, ha notato Richard Yu, a capo della divisione consumer business.
La mossa, ha scritto il Global Times, «riflette la strategia di diventare indipendente e trovare soluzioni alternative» alle forniture di componenti hi-tech dopo l'ultima stretta Usa alle vendite. «Siamo disponibili a continuare a usare i software di Google e Microsoft, ma non abbiamo altra scelta» che lo sviluppo di un sistema autonomo, ha affermato Yu, per il quale il sistema sarà di ampia portata e utile per smartphone, computer, tablet, tv, automobili e dispositivi portatili smart, nonché compatibile con tutte le applicazioni di Android.
La vicenda ha mostrato i limiti della Cina: Huawei non ha uno sviluppatore sufficientemente valido sul mercato interno tale da sostenere l'evoluzione di prodotti e aggiornamenti, come Android di Google o iOs di Apple, e ha rimarcato l'importanza di avere tecnologie «core» e l'urgenza dell'autosufficienza. Alcuni media cinesi hanno menzionato in settimana già l'avvio delle fasi di test del sistema operativo di Huawei destinato a sostituire gradualmente Android. Quello che appare certo, dalla prospettiva di Pechino, è che la guerra commerciale sia ormai una «nuova Guerra Fredda tecnologica»: con Zte, Huawei e Dji (il colosso dei droni), tre campioni della 'nuova Silicon Valley' cinese (l'area di Nanshan, a sud di Shenzhen), a essere nel mirino c'è anche il colosso della videosorveglianza Hikvision.
Huawei non dice al mondo la verità: «mettere le proprie informazioni nelle mani del Partito comunista cinese è de
facto un vero rischio» e la Cina è un rischio alla sicurezza nazionale, ha attaccato il segretario di Stato Mike Pompeo. Tra i netizen cinesi crescono i richiami alla «resistenza», diventano virali le canzoni patriottiche o composte sul tema della guerra commerciale, mentre la Cctv ha mandato in onda in serata un vecchio film sulla Guerra di Corea, in cui i volontari cinesi seppero ribaltare le sorti malgrado l'inferiorità di mezzi contro l'alleanza Onu a guida Usa. Un esempio dello spirito per ispirare la «nuova Lunga Marcia» appena rievocato dal presidente Xi Jinping.
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