Coronavirus, Pil giù dell'8%: manovra anti crisi fino a 155 miliardi

Coronavirus, Pil giù dell'8%: manovra anti crisi fino a 155 miliardi
di Luca Cifoni
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Sabato 25 Aprile 2020, 11:14 - Ultimo aggiornamento: 11:50
Un cigno nero che si è manifestato proprio mentre l'economia italiana stava dando segni di miglioramento e il deficit di bilancio era in sensibile riduzione grazie all'aumento delle entrate fiscali. Così viene presentata l'epidemia di coronavirus nel Documento di economia e finanza. Ma soprattutto di questi tempi l'analisi del ministero dell'Economia non può guardare indietro, ad una fase che ormai sembra lontanissima. E quindi il documento contiene oltre alla fotografia della situazione, con Pil in caduta libera ed esplosione del deficit, anche indicazioni per l'uscita dall'emergenza. Ma c'è pure l'ipotesi di una recrudescenza del coronavirus in autunno: se il cigno diventasse ancora più nero sarebbero inevitabili altre chiusure ed ulteriori effetti negativi per l'economia.

IL PICCO
Il Def conferma che anche quella italiana sarà una recessione a V: dopo la «netta flessione» della prima metà dell'anno (il picco negativo dovrebbe essere raggiunto in questi giorni) l'attività produttiva potrebbe avere una «ripresa abbastanza rapida». Finora, come ci si attendeva, i settori più colpiti sono stati il turismo, il commercio al dettaglio, l'intrattenimento e i servizi alla persona, mentre hanno tenuto ad esempio il chimico ed il farmaceutico. Alla fine di quest'anno il crollo del Pil in termini reali, per effetto della caduta del commercio internazionale e del lockdown, sarà dell'8 per cento (contro un +0,6 prevedibile nello scenario ante-Covid) mentre l'anno prossimo si avrebbe un recupero del 4,7 per cento. Tuttavia questo rimbalzo non permetterebbe di tornare ai livelli del 2019. L'economia che affonda porta con sé automaticamente, al di là delle misure attuate dal governo, un peggioramento dei conti pubblici, perché si riducono le entrate pubbliche e aumentano le spese. Ecco dunque che il rapporto deficit/Pil, proiettato fino a febbraio all'1,8 per cento (dopo l'ottimo 1,6 del 2019) si appesantirà di 4,1 punti di prodotto: aggiungendo anche l'effetto delle misure già in vigore del decreto Cura-Italia (1,2) si arriva al 7,1% di disavanzo tendenziale in rapporto al Pil. Questo è lo stato attuale della situazione, ma il governo naturalmente è al lavoro sul prossimo provvedimento.

Per finanziarlo, verrà chiesto al Parlamento un ulteriore scostamento dagli obiettivi di bilancio pari a 55 miliardi, ovvero il 3,3 per cento del Pil. In questo modo il deficit si dilaterebbe fino al 10,4 per cento del prodotto. Ma come spiegato dallo stesso ministro Gualtieri la potenza di fuoco del nuovo decreto sarebbe maggiore, includendo nel conto risorse che - salvo verifica con Eurostat - non impatteranno sull'indebitamento netto (il deficit rilevante in base alle regole europee) ma solo sul cosiddetto saldo netto da finanziare: rientrano in questa voce 12 miliardi per accelerare il pagamento dei debiti della Pa, circa 30 di ulteriori garanzie per la liquidità alle imprese e 50 di dote a Cdp, sempre per il sostegno al mondo produttivo. Il totale - tutto compreso - tocca i 155 miliardi. Di sicuro però un effetto ci sarà sul debito pubblico destinato, anche per la contrazione del Pil nominale, a schizzare al 155,7 per cento del prodotto a fine anno, per poi ripiegare al 152,7 nel 2021. Un livello mai raggiunto in precedenza, che il governo vuole riportare verso la media dell'area dell'euro nel prossimo decennio. Per riuscirci conta oltre che su «congrui» avanzi primari (saldi positivi di bilancio senza considerare gli interessi sul debito) anche sul rilancio degli investimenti (grazie a interventi di semplificazione) che dovrebbero a loro volta spingere l'economia. Senza però «misure restrittive di politica economica» che «sarebbero controproducenti».

IL LOCKDOWN
Tutte le stime del Def si basano sull'ipotesi di una ripresa dell'attività produttiva; ma se ci fosse una ripresa dei contagi a ottobre-novembre, la nuova fase di lockdown a livello nazionale e internazionale costerebbe un altro 2,7% di decrescita quest'anno (il calo sarebbe quindi oltre il 10) e un 2,4% il prossimo. Il metro di misura già usato per valutare quanto successo a marzo-aprile è drammaticamente semplice: ogni settimana di chiusura produttiva comporta tre quarti di punto di Pil in meno.
 
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