Coronavirus. «Il virus mi fa conoscere una moglie frivola, divorzio». Boom di chiamate alla consulente familiare

Coronavirus. «Il virus mi fa conoscere una moglie frivola, divorzio». Boom di chiamate alla consulente familiare
di Rosario Dimito
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Lunedì 13 Aprile 2020, 15:30 - Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 11:19

«C’è un filo conduttore che lega chi oggi mi chiama per avere una consulenza ed è la paura, non solo di contrarre il virus o di non avere i soldi, ma che normali dissapori e frustrazioni relazionali prendano il sopravvento; ciò perché tutti più nervosi e costretti in convivenze forzate h24». Chiara Narracci è una famosa consulente familiare di Roma, una sociologa libera professionista con una clientela che nelle settimane del coronavirus, la contattano con insistenza per risolvere i loro problemi da lockdown. «Mi chiamano spesso dalle loro auto dove si rifugiano non solo per una boccata d’aria ma soprattutto per parlare senza essere ascoltati dagli altri membri della famiglia», spiega la sociologa. «I cambiamenti sono repentini solitamente in seguito ad un trauma, comunemente però hanno bisogno di tempo, il mio invito oggi è di darci il tempo di stare nelle relazioni per trovare un nuovo equilibrio relazionale funzionale».

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Secondo l’esperta formatasi alla Sapienza di Roma, attiva presso il centro La Famiglia di Roma, c’è molta tensione delle famiglie perché «non essendo una situazione scelta, ma imposta, aumenta il senso di frustrazione e il desiderio di fuga». La Narracci pur mantenendo l’anonimato dei suoi clienti, fa esempi concreti ed esemplificativi. Parla di Antonio «che chiamandomi dalla macchina, per avere un po’ di privacy, mi racconta il grande disagio che prova nel guardare la moglie con occhi diversi; la percepisce una bambina capricciosa e poco sensuale, intenta a prendere il sole in terrazza, a fare ginnastica in salotto e a postare foto inutili. Frivolezze che prima lo alleggerivano e che ora lo appesantiscono. Gli viene istintivo chiudersi ed allontanarsi emotivamente perché non trova nutrimento in lei». E’ una ricostruzione di vita nelle settimane di pandemia, uno stato di disagio amplificato da convivenze forzate in pochi metri quadrati. «Lo ascolto e lo comprendo - spiega la Narracci -: quando si va in frustrazione si ha difficoltà a spostare l’attenzione in ciò che di buono c’è nell’altro e nella relazione. L’istinto di sopravvivenza paventa la fuga, supportato dal voler a tutti i costi salvare l’autostima si iniziano a dare colpe all’altro, a deresponsabilizzarsi e ad auto-giustificarsi». Un compito ingrato e delicato quello del terapeuta relazionale perchè deve muoversi in un ambito stretto dove non può sbagliare le parole per non compromettere l’interlocutore da guarire. Ed infatti: «Lo riporto alla consapevolezza della scelta, scelta di stare bene e di far stare bene, lo porto a ridimensionare le mancanze e a valorizzare la moglie, perché ognuno di noi dà il meglio quando si sente apprezzato e non costantemente criticato. Sottolineo inoltre che non è il momento di prendere decisioni di separazione, non con quello stato emotivo poco lucido ed equilibrato. E’ il tempo di essere prudenti, calmi e di lavorare per avvicinarsi».

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Di casi e drammi ne sono capitati tanti alla Narracci. «Mi chiama Alice, era in crisi con il marito prima ancora della pandemia, è un anno che ha una relazione extraconiugale che inevitabilmente la distrae e la porta a dare il meglio di sé fuori dalla famiglia, dove, si ritrova spesso, ad esternare fastidio e desiderio di fuga anche dai figli che, non sentendosi visti e considerati non fanno che richiedere la sua attenzione. Appare esasperata dai loro mille litigi e dalla loro scarsa autonomia che la porta a perdere le staffe e a colpevolizzarli per questo: “è colpa vostra se sono isterica!”. Altro giro altra corsa di una situazione fragile, da gestire con cura. «La invito a respirare e a ricordarle che è lei l’adulta – fa sapere la consulente -, il genitore che può contenerli anziché colpevolizzarli. Le ricordo che quando sente che sta perdendo le staffe può prendersi un momento per sé, respirare, calmarsi, ricentrarsi e gestire la situazione facendoli sentire maggiormente visti nelle loro risorse e nella loro capacità di essere autonomi, con complimenti puntuali, osservazioni precise sul loro comportamento. 
Le generalizzazioni: “è sempre la stessa storia! – non fai mai quello che ti dico!” non fanno sentire visti.
I figli diventano ciò che più spesso gli diciamo di essere, le critiche costanti li portano ad identificarsi con esse, mentre il circoscrivere il problema, il criticare il solo comportamento sbagliato nel momento in cui si manifesta, dà invece respiro, viene tradotto con un: “non sono sempre sbagliato!” ha pertanto un doppio effetto benefico: la madre si dà il permesso di vedere il figlio non solo nei suoi comportamenti sbagliati ed il figlio si sente apprezzato in ciò che di buono è e fa!». 

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Ci sono telefonate che nulla hanno a che vedere con la vita di coppia. «Mi chiama Sofia, ha perso la mamma in tempo di pandemia, dopo una vita, 17 anni, passati a prendersi cura di lei, a lottare con le badanti, a lamentarsi per il poco aiuto che riceve dai fratelli nella cura della madre e ad arrabbiarsi per il poco tempo che può dedicare a se stessa. Ascolto, sento il dolore di non poterle fare il funerale, vedo la disperazione di aver perso il senso della propria vita per poi lavorare insieme sulla scelta di vita che può ora fare. Ha la tendenza di mettersi alla fine del carro, ad essere “altruista” facendo però sentire in colpa tutti gli altri». Come reagisce Sofia ai suoi consigli? «Fatica a rendersi conto, che le sue carezze si trasformano in schiaffi, fatica a prendersi il tempo di sentire se ciò che sceglie di fare è buono per lei, indipendentemente dalla sua idea di giusto e sbagliato, perché se è buono per lei lo è anche per gli altri…. Le carezze saranno carezze».
Un capitolo a sè sono i giovani perchè «meravigliosamente potenti nello slancio vitale. Felici di poter essere finalmente utili e non solo criticati, per la loro scioltezza con la tecnologia». Anche gli studenti, universitari, si rivolgono a alla terapista.
«Mi chiamano felici di aver aiutato i genitori nel passaggio all’home working, felici anche che grazie alle video chiamate e ai social riescono a tenere in piedi i loro rapporti e a gestire la violenta frustrazione di non potersi toccare, baciare, abbracciare, ….. amare.  Non vedono l’ora di poter tornare a vivere e saranno loro a sdoganare i rapporti al di là della paura quando ci permetteranno di stare insieme.

Il rimandargli questo grande valore e la responsabilità che ne comporta, unita alla poca percezione che hanno del pericolo li fa guardare al futuro con uno sguardo fiero».

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