Coronavirus, Vestager: «Solo i prestiti non bastano, in gioco il futuro dell'Europa»

Coronavirus, Vestager: «Solo i prestiti non bastano, in gioco il futuro dell'Europa»
di Antonio Pollio Salimbeni
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Sabato 25 Aprile 2020, 11:25 - Ultimo aggiornamento: 20:24

«Occorrono strumenti finanziari innovativi, occorre solidarietà. La crisi attuale è completamente diversa dalla crisi finanziaria di dieci anni fa, qui non c'è nessuno da incolpare, tutti devono fronteggiare l'impatto del coronavirus. È proprio questo a rendere necessario il ricorso a strumenti nuovi basati sul bilancio Ue, che è il perno della redistribuzione per eccellenza tra settori, tra Stati. Sottoposto a controllo parlamentare, con un sistema di pesi e contrappesi (checks and balances). Il fatto è che non possiamo avere una Unione solo quando splende il sole, fondata unicamente sul mercato, dobbiamo averla anche quando c'è bisogno che i vicini realmente ti aiutino, l'aiuto deve esserci. È in gioco il futuro della Ue, le prossime settimane, i prossimi mesi saranno molto importanti».

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Parla Margrethe Vestager, una dei tre vicepresidenti esecutivi della Commissione europea e responsabile della concorrenza. In questa intervista rilasciata a Il Messaggero e a un gruppo di altri giornali europei, commenta le decisioni dei 27 e spiega che l'esecutivo europeo ha accelerato il lavoro per preparare le proposte sul Recovery Fund per il rilancio dell'economia e sulla nuova versione del bilancio Ue 2021-2027 che sarà il perno della risposta anticrisi. Non sono ancora definiti dimensioni finanziarie, scopi del nuovo fondo Ue, durata. Tutto dovrà essere negoziato e non sarà facile, a partire dalla scelta se l'operazione consisterà più in prestiti a lunghissimo termine e a tassi molto bassi agli Stati o in sovvenzioni (a fondo perduto).

Ieri il suo collega vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis ha indicato nuovamente che con il Recovery Fund si lavora a costituire «un finanziamento extra più vicino a 1.500 miliardi che non a mille miliardi». L'ammontare è però controverso. La stessa cifra viene indicata dai commissari Breton e Gentiloni, mentre la presidente von der Leyen ha evocato una operazione che genererà «diverse migliaia di miliardi».

Vestager non entra nel merito delle cifre. «Il volume del fondo è ancora in discussione, ora stiamo facendo il punto sulle necessità. Una cosa alla quale starei attenta a non fare è dire: abbiamo bisogno di questa o quella modalità di finanziamento del Recovery Fund o se non c'è esattamente un numero o l'altro tutto è perduto. Di certo occorre uno strumento innovativo che possa funzionare per finanziare la ripresa. Il nostro focus è sostenere gli Stati ad agire per rilanciare l'economia. La scelta è usare diversi strumenti finanziari per dare volume al Recovery Fund, molto importante nella situazione attuale. E il bilancio Ue è la leva per pianificare nel lungo periodo, mantenere le priorità strategiche, cioè conversione verde dell'economia e digitale. Tuttavia dobbiamo agire anticipatamente con misure urgenti perché le persone devono sapere da dove arriva lo stipendio. In questo sta l'eccezionalità della situazione. Poi, certo, dovremo avere un equilibrio tra prestiti e sovvenzioni, perché la logica dei trasferimenti agli Stati è propria del bilancio».

La Commissione ha reso flessibili le regole sugli aiuti di stato oltreché il Patto di stabilità. Sull'intervento pubblico a sostegno delle imprese ci sono preoccupazioni perché gli Stati con maggiore spazio fiscale possono largheggiare, gli altri no, soprattutto chi era fortemente indebitato prima della crisi.
«Sono preoccupazioni giustificate anche in tempi normali, figuriamoci adesso. Occorre basarsi su un principio: gli aiuti di Stato alle imprese devono essere proporzionati alla situazione di crisi. Poi ci aiuta l'operazione con il bilancio Ue, che permetterà agli Stati in maggiore difficoltà di intervenire allo stesso modo degli altri».

Avete consultato gli Stati su nuove regole temporanee per favorire le ricapitalizzazioni: alcuni, tra cui l'Italia, ritengono troppo stretti i tempi per ricapitalizzare (entro fine 2020) e per uscire dalle imprese (giugno 2021). Il suo orientamento?
«Stiamo valutando le risposte. Il nostro è un approccio dinamico, il momento dell'exit dello Stato dal capitale di un'azienda dipenderà dal momento in cui è cominciato l'intervento per garantire parità di trattamento delle imprese. Valuteremo se prolungare le regole temporanee per quanto riguarda la data entro cui è possibile la ricapitalizzazione, supposta a fine 2020: potremmo prolungare la scadenza a seconda della situazione, vedremo a fine estate-inizio autunno. Poi c'è l'aspetto della dimensione della ricapitalizzazione: sopra il livello che sarà fissato sarà necessaria una notifica alla Commissione, sotto direi di no».

All'inizio della crisi lei si era impegnata a decidere in fretta sulle misure anticrisi degli Stati: impegno mantenuto?
«La velocità delle nostre decisioni è tutto in questa fase: se abbiamo tutte le informazioni decidiamo in 24-48 ore. La Commissione ha il compito di far sì che gli Stati su queste materie procedano nella stessa direzione, sia evitata la frammentazione del mercato unico perché è il mercato unico la leva della ripresa. Sono impressionata dal livello di cooperazione mostrato dagli Stati e dal modo in cui rispondono imprese e banche».

A proposito di banche, in questi giorni si è parlato di nuovo di una bad bank europea nella quale trasferire i crediti deteriorati da smaltire entro un certo periodo di tempo. La Bce spinge in questa direzione, gira voce che la Commissione sia contraria.
«Non abbiamo una posizione, non è un'idea cresciuta nel nostro giardino, penso non chiami in causa gli aiuti di Stato bensì le regole sul rilancio e la risoluzione delle banche. La Commissione non è stata coinvolta».

Per l'Europa ci sono maggiori pericoli di shopping industriale da parte della Cina?
«Non abbiamo esempi specifici di questo, dopo lo scoppio della crisi del coronavirus. Alcuni Paesi europei hanno strumenti per verificare gli investimenti dall'estero, altri li stanno mettendo in pratica. Stiamo lavorando affinchè i controlli siano più efficaci, sia assicurato su ampia scala il principio delle condizioni di concorrenza equa per essere sicuri che le condizioni in cui agiscono le imprese siano effettivamente di parità».

Il settore del trasporto aereo è tra i più colpiti e il caso Alitalia fa sempre discutere. Il governo ha annunciato l'avvio della nazionalizzazione con una nuova compagnia prevista a giugno.
«Non ho alcun dettaglio su ciò che il governo intende fare, difficile commentare una nazionalizzazione che non c'è ancora. E quanto ai prestiti-ponte, attualmente non è proprio la nostra principale priorità. Detto questo, in relazione all'azione degli Stati fondamentalmente ci sono tre cose diverse che accadono quando ci sono imprese che hanno bisogno di più capitale nella situazione in cui ci troviamo.

La prima: indipendentemente dalla situazione precedente la crisi del coronavirus, intervenire a condizioni di mercato comprando una quota della società. Ciò non richiede una notifica. La seconda: un'impresa che prima della crisi non era in difficoltà si può ricapitalizzare, può avere liquidità con una notifica dell'operazione. La terza: se l'impresa era in difficoltà prima e non c'è la possibilità di fare una ricapitalizzazione di mercato o di fare una infusione di liquidità allora si usa l'articolo 107 del Trattato Ue (permette allo Stato di compensare i danni dovuti a calamità naturali o altri eventi eccezionali). In ogni caso, resta il principio fondamentale che la Commissione è neutrale per quanto concerne la proprietà».

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