Coronavirus, Eurogruppo sospeso: il tabù dei rischi futuri e il ruolo (decisivo) della Francia

Coronavirus, Eurogruppo sospeso: il tabù dei rischi futuri e il ruolo (decisivo) della Francia
di Antonio Pollio Salimbeni
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Mercoledì 8 Aprile 2020, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 12:31

È stata una notte di trattativa, durata fino a un paio d’ore fa, ma i ministri finanziari dell’area euro non sono ancora riusciti a trovare un accordo sulla risposta finanziaria europea alla crisi. Si ricomincia domani in una nuova riunione in videoconferenza. Lo scoglio insuperato è sempre la creazione di un fondo speciale che emetta una obbligazione comune con la garanzia degli Stati per raccogliere capitali (pari al 3% del Pil) con i quali finanziare la ripresa economica. Una fonte europea ha indicato che sono stati preparati, corretti, riscritti innumerevoli documenti dagli sherpa poi sottoposti ai ministri dell’Eurogruppo senza riuscire a trovare un equilibrio accettabile per tutti. È massima la resistenza di Germania, Olanda, Austria e Olanda a compiere la scelta di mutualizzare il debito futuro ai soli fini dell’uscita dalla grave recessione nella quale sono avvitati tutti gli Stati (pur con intensità diversa). La riunione, cui partecipano anche i ministri dell’area non euro, è cominciata ieri alle 16,30. A tarda ora era stata annunciata una conferenza stampa per questa mattina alle 10, appuntamento che poco fa è stato disdetto: tra pochi minuti inizierà un breafing di aggiornamento. rischia di essere bucato.

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Sul tavolo ci sono quattro proposte, chiamate ormai pilastri della risposta finanziaria europea alla crisi economica. Su tre c’è grossomodo un’intesa a parte qualche dettaglio. Si tratta dell’operazione Bei da 200 miliardi per le imprese che si aggiungono a 40 miliardi già decisi per le pmi; del piano antidisoccupazione della Commissione per il sostegno alle casse integrazioni nazionali per 100 miliardi; del ruolo del fondo salva-Stati con 240 miliardi per prestiti. La quota italiana sarebbe 39 miliardi, ma l’Italia si è presentata al negoziato insistendo sulla necessità di non prevedere alcuna condizionalità, neppure quella “light” sulla quale la Germania alla fine si è detta d’accordo. L’argomento divide la maggioranza di governo e per i grillini il Mes è un terreno tabù. Tuttavia, un accordo sulla mutualizzazione del debito per finanziare la ripresa economica farebbe rientrare l’opposizione italiana.

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La posizione di partenza del negoziato è stata sintetizzata dal premier Conte così: «No al Mes sì all’eurobond». Da notare che potenzialmente l’Italia è il Paese che potrebbe trovarsi nella situazione di dover ricorrere al Mes date le condizioni della finanza pubblica (alto debito prima della crisi sanitaria). La condizionalità del Mes non prevederebbe la Troika, ma si discute su quando accadrà una volta lasciata alle spalle la crisi sanitaria per ciò che riguarda il ritorno alle regole di bilancio per ora congelate. «Tutto ciò che si può dire a questo stadio è che per ora non c’è accordo all’Eurogruppo e non è detto che ci sarà», indica una fonte di Bruxelles.

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Il fronte dei paesi pro mutualizzazione non si è frantumato: in particolare è la Francia a svolgere il ruolo di spinta e mediazione. È un fronte di cui fanno parte la grande maggioranza dei partner dell’Eurogruppo, ma occorre una decisione per consenso. Cioè tutti devono essere d’accordo. La proposta francese di lanciare un bond comune scadenza 15-20 anni è “figlia” della lettera presentata da 9 leader a fine marzo sulla quale già era fallito un Consiglio europeo: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Lussemburgo, Irlanda (paese che un tempo faceva parte della Nuova Lega Anseatica rigorosa sui conti pubblici), Grecia e Belgio. Chiara l’idea: emissione di un bond da parte di una istituzione europea in una operazione diversa dalle emissioni classiche di obbligazioni da parte della Commissione o della Bei (che sono istituzioni europee) e da parte del Mes (che è una istituzioni intergovernativa fondata su un trattato specifico tra gli Stai Eurozona). Danimarca e Svezia sono schierati con il fronte dei Nordici e con la Germania. La posizione tedesca è come sempre dirimente, la linea della cancelliera Merkel è stata dall’inizio della riunione nella direzione di un’approvazione dei tre pilastri rinviando la decisione sul fondo comune anticrisi all’autunno.

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Per ore e ore si è discusso nella notte sul modo di inserire nel documento da presentare ai capi di Stato e di governo le proposte del “pacchetto” Ue. Trovare un equilibrio tra opposte esigenze si è però rivelato finora un esercizio impossibile: da un lato occorre essere sufficientemente precisi per non avvolgere nel fumo la prospettiva di un fondo comune per la mutualizzazione di un debito specificatamente dedicato a misure anticrisi per il rilancio dell’economia; dall’altro lato permettere a Germania e fronte del no al Covid–bond di mostrare ai parlamenti nazionali e alle opinioni pubbliche interne che non si tratterebbe di uno smantellamento dei principi sui quali si regge la Ue (nessun trasferimento di denaro tra gli Stati). Ora i ministri finanziari ci riproveranno domani in una nuova riunione.

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Naturalmente gli sherpa continueranno a lavorare, ma a questo punto la palla torna alle capitali e i ministri del Tesoro dovranno chiarirsi con i rispettivi capi del governo. Perché la partita è a quel livello che va trattata. Originariamente era previsto che il Consiglio europeo si sarebbe riunito prima di Pasqua (domani o venerdì) nel caso in cui l’Eurogruppo fosse riuscito a trovare un’intesa sull’intero “pacchetto”. D’altra parte la scelta delle mutualizzazione chiama in causa un netto orientamento politico sulla prospettiva Ue spostando l’accento sulla condivisione dei rischi futuri, un vero e proprio tabù.

Ciò anche se si trattasse di una versione light: secondo una delle due opzioni presentate dai francesi, prevederebbe che ciascuno Stato sia responsabile del debito emesso proporzionalmente al peso dell’economia nazionale nel Pil complessivo dell’area invece della garanzia in solido (congiunta) per cui ciascuno è responsabile del tutto e non solo del “proprio”. In tal caso gli Stati condividerebbero l’onere del tasso di interesse sul debito: per alcuni sarebbe inferiore a quanto sosterrebbero in una emissione di bond sovrani nazionali (è il caso dell’Italia) per altri sarebbe superiore.
 

 

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