Coronavirus, l'App virtuale nata a Tor Vergata. Il professor Saggio: «Un tampone analizzando la voce»

Il professore Giovanni Saggio
di Roberta Amoruso
9 Minuti di Lettura
Martedì 28 Aprile 2020, 08:47 - Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 12:24

«Gentile ministra Paola Pisano, sperimento da oltre 10 anni come un algoritmo di intelligenza artificiale può semplicemente analizzando la voce di una persona essere di supporto alla diagnosi in caso di malattie degli organi interni o di patologie come il Parkinson e l’Alzheimer. E lo può fare anche con percentuali di accuratezza tra il 95% e il 98%. Sono convinto che questo possa essere un supporto decisivo alla diagnosi medica sull’intera popolazione del Covid-19». Inizia così, con una promessa rivoluzionaria, la lettera inviata nei giorni scorsi alla ministra per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione dal professor Giovanni Saggio, ricercatore presso il Dipartimento di Elettronica dell’Università di Tor Vergata di Roma, dove è docente di elettronica presso la macro-area di Ingegneria e alla Facoltà di Medicina. Uno scienziato appassionato che ha ceduto il brevetto all’università già nel 2012.
Basta una App gratuita, rigorosamente a prova di privacy, per fare un “tampone virtuale”, assicura Saggio. È già partita la sperimentazione presso la struttura Ospedaliera dei Castelli Romani, tutta dedicata ai pazienti Covid. Ma potrebbe partire a breve anche presso la Asl di Latina, l’Ospedale San Matteo di Pavia e l’Ospedale Universitario di Verona, tutti interessati a studiare il dossier. Una proposta simile è stata appena lanciata per iniziativa ancora embrionale di alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge. Non ci sono dietro anni di sperimentazione, in questo caso. Anzi. Per avviare questo percorso a Cambridge è stato appena aperto un portale web in cui è possibile donare la voce. Eppure il dossier inglese ha già ottenuto un finanziamento di ben 2,5 milioni di euro. In poco tempo la Gran Bretagna potrebbe bruciare l’Italia, che invece è già pronta con una soluzione fatta in casa, finora senza un euro di sostegno finanziario, che aspetta soltanto di essere sperimentata su un numero sufficiente di pazienti Covid. E in un mese potrebbe essere disponibile per tutti, a partire da medici e ospedali. Se funzionasse davvero per il nostro Paese, come assicura Saggio, potrebbe essere una svolta.
Partiamo dai numeri. Servono almeno 50.000 tamponi al giorno in Italia. Forse ne serviranno molti di più quando si entrerà nel vivo della fase 2 per garantire sicurezza ai lavoratori ed evitare il contagio di ritorno. Serviranno anche 90 milioni di mascherine al giorno, termoscanner ovunque, piani rigorosi di distanziamento. Sarà cruciale il tracciamento dei casi e ben venga l’App Immuni per individuare le persone da isolare. Ma non basta tracciare. L’App Immuni, obbligatoria o no, rischia di rimanere una scatola vuota se non si può fare una caccia efficace dei positivi. E poiché è ormai evidente che non ci sono tamponi per tutti, almeno per ora, va trovata una strada sicura per individuare subito a chi fare i tamponi disponibili. A partire dagli asintomatici. Perché non utilizzare l’analisi della voce per fare un “tampone virtuale” preliminare a tappeto? Allora sì che si può individuare a chi fare i tamponi per confermare la diagnosi di Covid 19, spiega Saggio. Da oltre 30 anni fa sperimentazioni su sue idee con risultati riconosciuti a livello internazionale nel campo delle biotecnologie. E ora un intuizione del 2009 può aiutare ad affrontare una pandemia.
Professor Saggio funziona davvero? Avete già fatto in passato altri screening a tappeto?
«Non per una pandemia, non capita così spesso. Ma anni fa avevo proposto di utilizzare questo sistema per fare uno screening sanitario rapido e dal costo irrisorio su tutti i migranti che sbarcavano. Sarebbe impossibile fare test più approfonditi per ognuno. Mentre la sola analisi della voce può indicare le persone sulle quali indagare più approfonditamente con analisi tradizionali. L’avevo proposto in tempi non sospetti proprio per evitare possibili pandemie. Ma sono rimasto inascoltato dalla politica».
Solita diffidenza verso la tecnologia?
«Certo, finché però le stesse tecnologie non vengono comprovate a livello internazionale».
Quando ha iniziato a studiare la voce?
«La storia di questa sperimentazione è iniziata alla fine del 2009. Sono stato il primo, insieme a dei colleghi indiani con i quali ho fatto il brevetto, a immaginare di sfruttare un algoritmo di intelligenza artificiale per analizzare le alterazioni della voce a fini diagnostici. Si tratta di un algoritmo capace di evidenziare oggettivamente anche minimali variazioni della voce, impercettibili dall’orecchio umano, provocate quando un soggetto passa a uno stato patologico. Malattie degli organi interni o malattie neurodegenerative, come Parkinson e Alzheimer possono essere evidenziate da particolari caratteristiche della voce che arrivano fino a 6.300 (features). Ma non ho trovato l’interesse necessario».
Un’occasione persa per l’Italia?
«Ora che è scoppiata l’emergenza Covid, in molti si stanno avventurando in questa impresa anche a livello internazionale. Dicono di fare la stessa cosa, Sono partiti ora, senza anni di sperimentazioni alle spalle. Ma se possono contare su budget importanti, sicuramente ci metteranno meno tempo di quanto ne ho messo io senza budget e per buona volontà, mia, dei miei collaboratori e dei medici che hanno voluto credere in questo progetto». Contano i risultati, però. Fino a che punto ne ha avuti il suo screening sulla voce?
Partiamo dal Parkinson. Anche se si tratta di una patologia che non altera l’apparato fonatorio ho ottenuto un livello di accuratezza del 95% persino in pazienti nella fase iniziale della malattia, non ancora sottoposti a terapia. Ma il vantaggio non è soltanto nel supporto ad anticipare la diagnosi. Questo sistema può tenere traccia dell’evoluzione. Può valutare l’efficacia della terapia quotidianamente. E può anche servire a dosare il farmaco e diradarne nel tempo l’assuefazione. Per la tubercolosi l’algoritmo ha risposto correttamente nel 98% dei casi. E stiamo estendendo la sperimentazione al tumore testa-collo, a disfagia, all’Alzheimer, la distrofia e alla fibrosi polmonare idiopatica».
Cosa c’entra però un malato di Parkinson con uno di coronavirus?
«Per il Covid è ancora più immediata l’applicazione, visto che il virus si insinua nei polmoni e cambia davvero la capacità dell’emissione dell’aria che produce voce. Non solo. Possiamo anche misurare la tosse per discriminare il Covid da uno stato di salute normale o da un’altra patologia
».
Vi manca però ancora la possibilità di testarlo sui pazienti Covid, giusto?
«Siamo appena partiti, dopo il primo via libera una decina di giorni fa dall’Ospedale dei Castelli. Da quel momento abbiamo iniziato a fare registrazioni su pazienti Covid, dietro consenso informato. Ora aspettiamo i comitati etici della Asl di Latina, dell’Ospedale di Verona e dell’Ospedale di Pavia».
Ma in che modo la sua App potrebbe integrarsi con la App Immuni scelta dal governo? Dovremmo avere due applicazioni?
«L’App immuni può violare la privacy, perché io riesco a sapere se vicino a me c’è una persona con il Covid o no, se questa persona ha dato il suo assenso. Diversamente la nostra App non tocca minimamente la privacy. Le voci sono identificate con un codice, ma solo l’ospedale dispone del rapporto codice-nome. Non vedo difficoltà eventualmente a integrare le due App, ma possono anche viaggiare in parallelo. Può essere anche integrata nell’App della protezione civile già realizzata da Agid, che tra l’altro ha già valutato positivamente la mia ricerca stipulando un protocollo finalizzato a concedere all’Agid l’esclusiva di questa tecnologia, a titolo gratuito, per la diffusione e la gestione».
Ma come funziona, posso fare una sorta di autodiagnosi o sono gli ospedali che la usano in una fase di prescreening per decidere se fare un tampone o no? È noto quanto i tamponi o i ricoveri tardivi siano costati in vite umane.
«Per legge la diagnosi può essere fatta solo da un medico. Non esiste App ma nemmeno referto di analisi che possa stabilire la diagnosi. Fatta questa premessa, questa App può fare una sorta di “tampone virtuale”. Mentre il tampone non può essere fatto a tutta la popolazione, per i costi, la scarsità e i tempi di risposta, con questo sistema il medico potrebbe stabilire sulla base dei risultati chi è da sottoporre a tampone e chi no».
Quindi un’occasione anche per far funzionare la rete dei medici di base sul territorio sulla cui efficacia si discute tanto dopo questa emergenza?
«Può farlo qualunque medico, quello di famiglia o il medico dell’ospedale. Ma le dirò di più. Ha presente il tracciato dell’elettrocardiogramma? Sul base del tracciato il medico stabilisce anche senza aver mai visto o visitato il paziente se ha un problema cardiaco oppure no. In futuro il medico potrà vedere il voicegramma, cioè l’andamento della voce, per stabilire se quel paziente è Covid positivo oppure no».
Vuole dire che come per il Parkinson si può fare un monitoraggio a distanza anche del progredire del virus?
«Certo e con molti vantaggi. Perché il medico o l’ambulanza non devono andare dal paziente, se non quando lo stesso medico lo ritenga necessario dopo lo screening quotidiano attraverso l’analisi della voce dello stato della patologia. Ci sono stati molti casi di intervento tardivo che lasciava spazio solo all’intubazione. Con questo strumento si può intervenire al momento corretto».
Se partono davvero le sperimentazioni in quattro ospedali, quanto tempo ci vorrebbe perché questo sistema si possa definire testato?
«Per funzionare, la sperimentazione deve essere fatta su voci omogenee per sesso, fascia di età ed etnia. L’algoritmo ha bisogno di un ingresso di dati per almeno qualche centinaio di casi. Più sono gli ospedali che partecipano alla sperimentazione, più si accorciano i tempi. In quattro settimane potremmo essere pronti. E risposte in tempo reale».
Per la storia che mi ha raccontato finora l’Italia non l’ha trattata bene. Si parla tanto dei cervelli in fuga, ma il lavoro di chi rimane non viene valorizzato a dovere. Oltretutto, lei ha anche ceduto il brevetto all’Università. Non c’è nemmeno lo scopo di lucro. Con quali fondi ha fatto questi 11 anni di sperimentazione?
Ho fatto tutto con risorse personali. Nel 2009 ho provato prima in Italia e ho trovato le porte chiuse. Allora il Comitato etico dell’Ospedale che avevo coinvolto mi disse che la sperimentazione si poteva fare, era necessario prevedere un’assicurazione per ogni paziente. “Assicurazione per cosa?” chiesi. La mia non è un’indagine invasiva, non uso raggi X».
Poi invece cosa le ha permesso di andare avanti?
«Ho proposto subito dopo questo strumento in India, e nel giro di una settimana, si sono resi disponibili 5 ospedali per fare sperimentazione sulla tubercolosi e la febbre gialla. E la risposta è stata sorprendente. A fine 2012 abbiamo scritto il brevetto, accettato a inizio 2014. L’ho ceduto alla mia Università ma è rimasto un brevetto italiano».
Quindi non ha mai avuto fondi?
Assolutamente no.

Cambridge è riuscita ad avere 2,5 milioni di euro di finanziamenti ma io non ho la forza di partecipare a una call europea. Troppa burocrazia. A quel punto ho deciso nel luglio del 2019 di costituire uno spin-off universitario, VoiceWise. Ora c’è un team di persone che ancora una volta si autofinanziano per partecipare a bandi internazionale che permettano l’accesso ai finanziamenti. Attenzione, lo spin-off è ad alto contenuto innovativo, ma è soprattutto etico. Lo scopo è avere sufficienti fondi per insistere su sperimentazione e ricerca. Nessun altro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA