Coronavirus, gli anziani sono rimasti a lavorare più dei giovani

Molte attività industriali hanno chiuso
di Luca Cifoni
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Mercoledì 1 Aprile 2020, 09:31 - Ultimo aggiornamento: 13:15

La chiusura causa Coronavirus delle attività economiche ritenute non necessarie, prima quelle commerciali poi da una decina di giorni anche una serie di industrie, ha coinvolto di fatto solo un terzo dei lavoratori italiani: poco meno di otto milioni su un totale di oltre 23. Queste sono le persone che secondo le stime dell'Istat prestano la propria opera nei settori per i quali è stata decretata la chiusura. Resta comunque per tutti la possibilità di scegliere la modalità smart working, sia che la propria attività rientri tra quelle sospese sia che invece sia collocata tra le aperte.

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La percentuale di lavoratori "sospesi" varia naturalmente a seconda del settore e dell'area geografica. Le tabelle dell'istituto di statistica permettono di ricostruire anche le differenze tra le varie classi di età. E si nota che gli "attivi" sono più presenti in percentuale tra i relativamente anziani. Se infatti nella fascia tra i 15 e i 24 anni (di per sé non numerosa) l'incidenza è poco meno della metà, tra i 25 e i 34 si sale al 61,8%, tra i 35 e i 44 al 65,9 e tra i 45 e i 54 al 67,7 per cento. Invece coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni sono inseriti al 73,8 per cento in attività ancora aperte. E la percentuale è appena inferiore (72,3) tra i lavoratori che hanno 65 anni o più. Che non sono tanti perché una quota consistente è già in pensione: tuttavia su 673 mila tuttora occupati gli attivi in questo particolare periodo sono 487 mila.

Ora proprio gli ultrasessantacinquenni, in particolare, sono stati nelle settimane scorse destinatari della raccomandazione di restare a casa, in quanto più fragili di fronte alla diffusione del virus. La quantificazione dell'Istat è stata fatta sulla carta ed è ragionevole pensare che parecchi di loro usino comunque cautele particolari. Quanto ai settori in cui si concretizza questa presenza, è plausibile pensare più che all'industria ai servizi professionali, rimasti in larga parte aperti.
 



 

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