INVESTIMENTI ESTERI - Secondo lo studio, l'Italia è penultima tra i 28 Paesi dell'Unione per capacità di attrarre investimenti esteri, davanti solo alla Grecia, mentre è terza tra le nazioni da cui andare via per cercare lavoro, dietro a Romania e Polonia. "Questa situazione sta determinando una pressione al ribasso - sottolinea Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative - una condizione di sperequazione su cui si deve necessariamente intervenire. La tolleranza fin qui ammessa ha alimentato molti danni economici. Secondo il Parlamento europeo, nell'Unione a 28, si perdono ogni anno, circa 1.000 miliardi di euro, come mancato gettito a causa dell'evasione e dell'elusione fiscale".
GIUNGLA FISCALE UE - L'altro tema chiave del Focus è proprio il fisco UE, o meglio, la giungla di fiscalità diverse, con 28 sistemi fiscali, uno diverso dall'altro. A oggi, secondo i dati della Commissione Europea, in UE quattro di questi sono sotto l'11% (Lussemburgo, Lituania, Irlanda, Romania), mentre altri cinque restano sotto il 15% (Polonia, Ungheria, Estonia, Lettonia e Bulgaria). Se poi per Malta, invece, non sono proprio disponibili i dati, in Lussemburgo, il valore negativo dell'imposta si configura a tutti gli effetti come un incentivo anziché un prelievo.
L'approccio definitivo "aggressivo" di questi sistemi è uno dei fattori di attrazione per gli investimenti stranieri che non a caso risultano superiore al 100% del Pil in ben sette paesi, con quote nove volte maggiore a Cipro, quindici volte maggiore a Malta e ben sessanta volte nel Lussemburgo, mentre per Germania, Francia e Italia è rispettivamente del 24,2%, del 31,8% e del 20,3%.
CAPITALE UMANO IN FUGA - Infine i dati sulla fuga del capitale umano, con 17 milioni i cittadini dell'Unione europea che nel 2017 vivono in paesi diversi dalla propria origine: di questi il 21% proviene dalla Romania, il 17% dalla Polonia, e l'8% dall'Italia, seguita dal Portogallo (7%), dalla Bulgaria e dalla Germania (entrambe con il 5%), cui si aggiungono con il 4% la Francia e la Spagna.
SALARIO MINIMO - A chiudere il ritratto dell'Unione Europea e delle differenze che ancora permangono tra Est e Ovest c'è il salario minimo, fissato sopra 10 euro per ora lavorata in Francia, mentre in più della metà degli altri Stati è sotto i 4 euro, con Slovacchia, Croazia, Ungheria, Romania e Lettonia fra i due e i tre euro l'ora, mentre la Bulgaria non raggiunge nemmeno la soglia dei due euro.
Se in termini assoluti l'Occidente sembra più "ricco", in termini relativi non lo è: ben tredici paesi (fra cui la Francia, i Paesi Bassi, il Lussemburgo, la Spagna, il Belgio e l'Italia) hanno visto crescere i salari nominali secondo tassi inferiori all'1%; Belgio e Spagna hanno addirittura mostrato un valore negativo (rispettivamente -0,1% e -0,7%).
Il dato è indicativo del fenomeno chiamato "wageless recovery", e cioè la 'ripresa senza salario', elemento che sta alimentando la percezione di insicurezza economica in molti strati della popolazione e dell'occupazione europea, anche fra i paesi più ricchi.
(Foto: © Paul Grecaud/123RF)
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