Carige, i commissari puntano al rilancio grazie a risorse di investitori privati

di Rosario Dimito
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Giovedì 10 Gennaio 2019, 08:07
ROMA Nazionalizzazione? Al solo pronunciare la parola il profilo di Pietro Modiano, uno dei tre commissari che ieri ha delineato davanti ai giornalisti il programma di rilancio di Carige, si è irrigidito in un'espressione di evidente disappunto. «Ma quale nazionalizzazione, la ricapitalizzazione preventiva - ha replicato secco - non è sul tavolo, non è necessaria. E' un'ipotesi teorica, estrema, più che residuale». E ancora: «Per salvare Carige bastano 320 milioni che sono quelli che il Fondo interbancario (assieme a Banco Desio, ndr) aveva stanziato come obbligazione subordinata che ci metteva in condizione di rispettare i parametri europei e che erano destinati a essere convertiti in capitale se l'assemblea avesse autorizzato la conversione. Tutti i problemi che ci assimilano ad altri salvataggi miliardari non hanno niente a che fare con la realtà». Infine: «Siamo una banca del territorio, ebbene intendiamo diventare la banca esemplare del territorio, a prescindere dalle prospettive di aggregazione».

AFFERMAZIONI FUORI LUOGO
Questa insomma gli umori che si registrano a Genova. Non è dunque esagerato parlare di irritazione per come la politica sta strumentalizzando la vicenda. Anche perché le non poche affermazioni fuori luogo su nazionalizzazione sì o nazionalizzazione no, alla lunga rischiano di compromettere l'attività discreta dei commissari nell'attività di ricerca di eventuali partner bancari interessati a un'aggregazione allorquando l'istituto avrà recuperato appetibilità. Intanto procedono i lavori per mettere a punto il Piano industriale che verrà presentato, salvo rinvii, il 26 febbraio. Quel che è certo è che dei pretendenti alle nozze si comincerà a parlare soltanto nella seconda parte dell'anno. Più urgente invece mettere a punto il piano di derisking, visto che l'intenzione dei commissari è di abbassare il livello dei Non performing loans al di sotto del 10%, provando a collocare sul mercato fino a 2,8 miliardi di crediti deteriorati entro breve tempo. Perché la Vigilanza della Bce incombe, ed è indispensabile riportare quanto prima i ratios a livello neutrale. Ciò spiega perché è già stato ingaggiato un advisor strategico come il gruppo Ubs: l'attività di due diligence sulle sofferenze è del resto una delle prime attività da affrontare. Previsto a tal proposito un ruolo centrale per la Sga, la società che fa capo al Tesoro, e probabilmente il Credito Fondiario.

NESSUN PRETENDENTE
Quanto ai nomi degli eventuali pretendenti in un processo di aggregazione che Francoforte giudica obbligato, molti sono quelli circolati nei giorni scorsi ma per quanto si scavi nessuna conferma, nemmeno ufficiosa, è finora giunta. Sembra però di capire che Unicredit, qualora decidesse di proporsi, incontrerebbe i malumori della Lega a causa della palese «inclinazione dei suoi top manager verso un baricentro fuori dall'Italia».

LA MAGGIORANZA DIFFICILE
Peraltro, sul tema della possibile aggregazione c'era molta freddezza tra i banchieri che aderiscono allo Schema Volontario del Fondo Interbancario che ieri all'ora di pranzo si sono riuniti in un comitato di gestione informale. Sul tavolo c'era la lettera dei tre commissari di Carige che ha fatto seguito all'incontro tenutosi lunedì pomeriggio a Roma. Nella missiva viene spiegato che è cambiato radicalmente il contesto rispetto a quando venne stipulato il contratto sul prestito subordinato da 318 milioni: allora l'istituto era in gestione ordinaria, governato da un cda che rispondeva ai soci. Dal 2 gennaio la banca invece è in amministrazione straordinaria, gestita da tre commissari che rispondono alla Bce e a Bankitalia. Di qui la richiesta di ridurre il tasso (salito al 16% in quanto l'assemblea del 22 dicembre non ha approvato la proposta di aumento di capitale da 400 milioni a causa dell'astensione della Malacalza Investimenti). L'esito della riunione informale - i commissari avrebbero indicato genericamente un tasso oscillante vicino all'iniziale 13% - è stato però di lasciare per il momento le cose immutate, anche perché per fare modifiche occorrerebbe la doppia maggioranza di statuto che non è facile raggiungere nuovamente.
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