Il valore del capitalismo familiare e la necessità di una salvaguardia

La finanza in campo dopo l’invito di Caltagirone a rendere più agevoli i passaggi generazionali. Micheli, Corsico, Tamburi, Marullo: «In attesa di riforme la successione va organizzata in vita»

Il valore del capitalismo familiare e la necessità di una salvaguardia
di Osvaldo De Paolini
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Domenica 28 Maggio 2023, 00:25 - Ultimo aggiornamento: 19:10

dal nostro inviato 


TRENTO Il capitalismo familiare in Italia è un tema finora poco dibattuto ma che nell’economia del Paese ha un peso assai più rilevante di quanto si creda. Se è vero che negli ultimi vent’anni si sono spente importanti dinastie aziendali, assorbite da altrettante multinazionali, la geografia imprenditoriale nazionale offre tuttora un panorama costituito da una miriade di realtà piccole, medie e grandi a guida familiare che costituiscono l’ossatura forte della nostra industria.

Caltagirone: «Servono norme per salvaguardare il capitalismo familiare»

Basti dire che secondo dati forniti dall’imprenditore Francesco Micheli, le pmi italiane a guida familiare sono 211 mila, fatturano in totale 2.834 miliardi e rappresentano il 42% del totale delle imprese, il 43% dell’occupazione nel privato, il 35% degli investimenti mentre realizzano il 48% delle esportazioni. Insomma, un pilastro che va sostenuto e possibilmente incentivato a giovamento del sistema.


PRIVATE EQUITY E BORSA
Non è dunque un caso se anche ieri al Festival dell’Economia di Trento organizzato dal Gruppo 24 Ore si è parlato di salvaguardia di capitalismo familiare, dopo l’invito al legislatore di Francesco Gaetano Caltagirone affinché modifichi le quote obbligatorie in ambito successorio per consentire che sia un singolo erede a gestire il controllo aziendale.

Oltre a Micheli, nel panel intitolato “Capitalismo familiare, private equity e passaggio generazionale” hanno affrontato l’argomento Giovanni Tamburi (presidente e ad di Tip), Fabio Corsico (Università Luiss), Massimo Ponzellini (presidente onorario della Bei) e Sergio Marullo di Condojanni (ceo del gruppo Angelini). La sintesi emersa, sottolineata da Corsico secondo il quale «tutte le aziende nascono familiari, non dobbiamo mai scordarlo», è che in attesa che il legislatore agisca, vanno individuati i meccanismi finanziari e di governance più adatti per salvaguardare sia gli interessi della famiglia sia quelli dell’azienda. E l’alternativa alla cessione tout court oggi sono i fondi di private equity o la quotazione in Borsa. Con l’ausilio di consulenti esterni «va poi individuato il management - ha aggiunto Corsico - e guai a mescolare le situazioni familiari con quelle dell’azienda, perché se questa va male anche la ricchezza familiare ne viene compromessa».  Sulla necessità che la governance sia ispirata a criteri rigorosi e di massima disciplina si è soffermato anche Marullo di Condojanni che ha sintetizzato gli effetti positivi del passaggio generazionale, già avvenuto nel gruppo da lui guidato «sia pure attraverso una soluzione para-familiare».


FUORI DAL CORO
A sua volta Tamburi, che da trent’anni gestisce una realtà aziendale a cavallo tra fondo di private equity e società di partecipazioni, ha precisato che per rendere efficace il passaggio generazionale di imprese familiari servono regole sia esterne che interne. «E’ giusto chiedere al legislatore di cambiare la legge, ma se aspettiamo che cambi l’azienda fallisce - ha osservato - Per questo oggi sono cruciali quelle che si dà l’azienda al suo interno, anche in previsione del passaggio generazionale. La parola magica è equilibrio, solo così si crea un circolo virtuoso che renderà l’azienda più dinamica anche in termini di investimenti». Per arrivare a ciò è però necessario che ci sia una volontà di apertura da parte degli imprenditori di prima generazione, che spesso non vogliono sentir parlare di successione in vita. Manca in loro una visione realmente imprenditoriale: geniali nel prodotto ma incapaci di accettare che «dalla tomba non si comanda». Forse è anche per questo che oggi solo il 30% delle aziende a guida familiare arriva alla seconda generazione. «È anche a causa del fatto - ha suggerito Micheli - che da 10-20 anni l’Italia vive una forte crisi di classe dirigente, che è il motivo per cui abbiamo avuto disastri come Alitalia o Ilva. Serve una certa dose di istruzione, che però ha anche tempi lunghi e implica questioni di tipo demografico».


Un po’ fuori dal coro l’opinione di Ponzellini. «Il passaggio generazionale di imprese familiari - ha detto - somiglia al gioco della roulette, ci vuole fortuna. È la prima qualità, poi viene il resto». Scettico sui passaggi generazionali che possono portare miglioramenti nell’azienda («Il genio imprenditoriale raramente si eredita»), gli ha replicato Corsico ricordando l’esempio dell’immobile di cinque piani che in non pochi casi è diventato un grattacielo nelle mani dell’erede individuato per tempo e che ha dato prove di buone capacità.
 

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