Perchè si tratta di titoli sostanzialmente illiquidi, e qundi con tutti i rischi del caso per i fondi Pir che dovrebbero metterli in portafoglio. La fotografia scattata dagli economisti della Banca d’Italia è la seguente: «Alla fine del 2018 all’Alternative Investment Market (AIM) di Borsa italiana erano quotati poco più di 60 titoli emessi da Pmi italiane non finanziarie, con una capitalizzazione complessiva di circa 3 miliardi e un flottante medio del 30 per cento. Lo scorso anno quasi la metà di questi titoli non ha registrato scambi per almeno un quarto dei giorni di contrattazione». Lo scenario non cambio guardando la fotografia del venture capital. «In Italia operano inoltre poco più di 30 fondi di venture capital di diritto italiano con un patrimonio complessivo di circa 500 milioni e solo alcuni di questi hanno caratteristiche in linea con i requisiti della nuova normativa sui Pir». I fondi di venture capital - prosegue l’analisi della Banca d’Italia - sono strumenti sostanzialmente illiquidi. Di norma riservati a clientela professionale, sono istituiti obbligatoriamente in forma chiusa e non ammettono pertanto la possibilità di rimborsi anticipati; la valutazione del loro portafoglio avviene di norma solo semestralmente. Per i fondi aperti armonizzati, che investono in attività più liquide e possono essere commercializzati anche alla clientela al dettaglio, è prescritta invece una periodicità almeno quindicinale sia del calcolo del patrimonio netto, sia del rimborso delle quote ai sottoscrittori».
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