Allarme di Bankitalia sui Pir: le nuove norme aumentano il rischio di perdite

La sede di Bankitalia
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Mercoledì 8 Maggio 2019, 16:26
L’allarme questa volta arriva da Bankitalia. La modifica delle norme sui Pir, I piani individuali di risparmio, solleva più di un dubbio a Via Nazionale. Perchè di fatto le nuove regole, che impongono ai fondi di investimento specializzati in Pir il vincolo di investire una quota del portafoglio (5%) in strumenti finanziari emessi da pmi italiane e da fondi di venture capital «aumentano il profilo di rischio dei Pir, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie. Non solo. e nuove regole inoltre - scrive via Nazionale nel Rapporto sulla stabilità finanziaria - possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti». E ancora: «Aumenta il rischio che i fondi registrino perdite derivanti da vendite di attività in mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità dei corsi che inducano i sottoscrittori a liquidare l’investimento prima di conseguire il beneficio fiscale. Tali perdite potrebbero riflettersi negativamente sui risultati dei Pir e sulla reputazione degli intermediari che li promuovono. Proprio al fine di limitare questi rischi gli investimenti dei fondi aperti italiani in titoli di Pmi italiane e in fondi di venture capital sono attualmente pressochè nulli». Nel dettaglio, la Banca d’italia nella sua analisi sui Pir non nasconde quanto le nuove norme «possono favorire l’emissione di titoli da parte delle imprese di minore dimensione e la diversificazione delle loro fonti di finanziamento». ma ci sono delle avvertenze di cui tenere conto.
Perchè si tratta di titoli sostanzialmente illiquidi, e qundi con tutti i rischi del caso per i fondi Pir che dovrebbero metterli in portafoglio. La fotografia scattata dagli economisti della Banca d’Italia è la seguente: «Alla fine del 2018 all’Alternative Investment Market (AIM) di Borsa italiana erano quotati poco più di 60 titoli emessi da Pmi italiane non finanziarie, con una capitalizzazione complessiva di circa 3 miliardi e un flottante medio del 30 per cento. Lo scorso anno quasi la metà di questi titoli non ha registrato scambi per almeno un quarto dei giorni di contrattazione». Lo scenario non cambio guardando la fotografia del venture capital. «In Italia operano inoltre poco più di 30 fondi di venture capital di diritto italiano con un patrimonio complessivo di circa 500 milioni e solo alcuni di questi hanno caratteristiche in linea con i requisiti della nuova normativa sui Pir». I fondi di venture capital - prosegue l’analisi della Banca d’Italia - sono strumenti sostanzialmente illiquidi. Di norma riservati a clientela professionale, sono istituiti obbligatoriamente in forma chiusa e non ammettono pertanto la possibilità di rimborsi anticipati; la valutazione del loro portafoglio avviene di norma solo semestralmente. Per i fondi aperti armonizzati, che investono in attività più liquide e possono essere commercializzati anche alla clientela al dettaglio, è prescritta invece una periodicità almeno quindicinale sia del calcolo del patrimonio netto, sia del rimborso delle quote ai sottoscrittori».
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