Banche, mina crediti dopo le moratorie per oltre 300 miliardi

Banche, mina crediti dopo le moratorie per oltre 300 miliardi
di Roberta Amoruso
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Sabato 26 Settembre 2020, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 11:47

L’ultimo dato fornito da Bankitalia è allarmante: sono arrivate a superare quota 2,9 milioni le domande complessive di adesione alle moratorie su prestiti presentate alle banche grazie anche ai decreti Cura Italia e Liquidità. Si parla di un valore di circa 323 miliardi, che secondo gli analisti rappresenta circa un quarto del portafoglio crediti dell’intero sistema bancario. Una enormità, in continua crescita nei mesi della crisi (secondo i calcoli di Equita a giugno scorso sulle banche pesavano 120 miliardi di moratorie). Se si pensa che circa due terzi di questi crediti sono verso le imprese, allora si capisce bene fino a che punto l’emergenza Covid rischia di pesare sui bilanci delle stesse banche.

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Non solo. L’Eba, l’autorità europea per le banche, ha deciso di non prorogare la scadenza del 30 settembre per la deroga concessa a tutte le banche Ue nella riclassificazione contabile del prestiti sotto moratoria. E quindi già nei prossimi giorni una quota di questi crediti (si stima il 10%) potrebbe essere “declassata” tra le “inadempienze probabili” (Utp), e a cascata una parte di questi ultimi potrebbe già far salire l’ammontare dei crediti malati (Npl). Intanto, la stessa Eba ha lanciato il test trasparenza su 130 istituti europei per valutare impatto pandemia. E così la fotografia dell’effetto Covid sul settore sarà più chiara a fine dicembre.

L’altra faccia della medaglia sono i fallimenti in arrivo. Secondo i dati di Confesercenti, solo fra bar, ristoranti, B&B e hotel sono circa 90 mila le aziende fallite a causa del coronavirus, mentre altre 600.000 sarebbero a rischio. La memoria sul Decreto Agosto realizzata dall’Istat e presentata in commissione Bilancio del Senato, è dello stesso tenore: «La quota delle imprese che ha lamentato seri rischi operativi che ne mettono in pericolo la sopravvivenza nel 2020 è pari al 38% a livello complessivo». Una percentuale che sale al 66,5% per il settore della ristorazione, al 60% per cultura, sport e intrattenimento, e al 57,8% per gli alloggi e turismo. Lì dove a pagare il prezzo più alto sarebbero le aziende di piccole dimensioni, in particolare al Sud.

Sarà davvero difficile per molte di queste imprese fare a meno della moratoria sui prestiti bancari in scadenza a gennaio 2021. Insieme all’impennata di chiusure e fallimenti c’è dunque dietro l’angolo un’inevitabile esplosione dei cosiddetti Non performing loan, cioè i crediti malati ai quali gli istituti di credito hanno già dato un taglio netto, a caro prezzo, negli ultimi anni e non sarà facile parare per tutti il colpo. Ecco perché ieri il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis è sceso in campo con una certa preoccupazione sul tema. «Abbiamo ora l’opportunità di intraprendere azioni preventive: se non agiamo in tempo, potremmo vedere le conseguenze dell’ultima crisi finanziaria ripetersi e le sofferenze aumenterebbero sui bilanci delle banche per anni». Nessun riferimento esplicito alla necessità di una bad bank europea o nazionale, ma la rotta sembra segnata.

Occorre «sviluppare il mercato secondario per gli asset sotto stress e raggiungere un accordo con l’Europarlamento sulla direttiva relativa ai gestori di crediti, agli acquirenti di crediti e al recupero delle garanzie reali», ha spiegato. Ma anche «riformare i quadri normativi per l’insolvenza e il recupero crediti». Anche il responsabile della Vigilanza Bce, Andrea Enria, ha invitato le banche «a evitare» l’esplosione degli Npl alla scadenza delle sospensione, con un «ruolo più attivo nel distinguere i debitori buoni da quelli cattivi». Il messaggio è chiaro: meglio agire per tempo per evitare a gennaio una situazione difficile, visto che già ora ci sono «segni di deterioramento» per Dombrowskis. Come? Spingendo sulla cessioni dei crediti, ma anche sugli accantonamenti, dicono gli analisti nella speranza che possa decollare un progetto di bad bank. A lanciare l’allarme sull’effetto della valanga di svalutazioni che potrebbero scattare nel post-Covid per via dei paletti Ue, ora solo congelati (calendar provisioning), è stato due settimane fa anche il ceo di Mediobanca Alberto Nagel. «Si rischia una bomba atomica. La progressiva svalutazione dei crediti deteriorati fino al 100%, è una norma sbagliata, che va rivista», aveva sottolineato Nagel puntando il dito sul rischio di nuovi aumenti di capitale in tutta Europa entro 2-3 anni.
 

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