Autonomia, più aiuti se l'impresa va al Nord: a rischio la politica industriale nazionale

Le Regioni potranno fare da sole anche su incentivi e contributi fiscali

Autonomia, più aiuti se l'impresa va al Nord: a rischio la politica industriale nazionale
di Andrea Bassi
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Giovedì 16 Febbraio 2023, 00:01

L’istantanea del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del presidente francese Emmanuel Macron che volano in solitaria negli Stati Uniti per provare a perorare gli interessi delle industrie tedesche e francesi, azzoppate dagli aiuti di Stato all’industria green statunitense, ha irritato l’Italia. Giustamente. L’Europa rischia una desertificazione industriale. Le grandi imprese saranno spinte dai quasi 300 miliardi di dollari di incentivi decisi dall’amministrazione Biden, a spostarsi in America. Per questo in Europa, altra decisione avversata dall’Italia, Germania e Francia hanno chiesto di poter avere mani libere sugli aiuti di Stato. I ricchi, gli Stati che hanno spazio fiscale, vogliono salvare da soli il proprio sistema produttivo. Ma l’Italia, che spinge per una politica industriale comune in Europa, per fondi sovrani centralizzati e finanziati con debito comune, ha un enorme problema in Patria: le ricche regioni del Nord vogliono fare esattamente come la Germania, usare le proprie risorse per avvantaggiare il proprio sistema produttivo. Con buona pace delle industrie del resto del Paese. È uno dei frutti avvelenati, e poco discussi, del progetto di autonomia differenziata approvato dal governo. La politica industriale italiana rischia di andare in frantumi. Ma andiamo con ordine. La legge quadro sull’autonomia scritta dal ministro leghista degli Affari Regionali Roberto Calderoli, non pone nessun argine alle materie di cui le Regioni che lo desiderano possono appropriarsi. E in questa autonomia “à la carte” i governatori di Veneto e Lombardia, due dei territori più ricchi del Paese, potranno chiedere (e chiederanno) anche le competenze sul commercio con l’estero, i rapporti internazionali e con l’Unione europea e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi. 

NIENTE PALETTI

Le Regioni “autonomiste”, è la domanda, potranno gestire incentivi alle imprese per convincerle ad aprire sedi e stabilimenti nei loro territori? Sono pochi i dubbi che le richieste di Veneto e Lombardia andranno in questa direzione. Si tratta del resto, di questioni già negoziate nel 2019, quando ci fu il primo tentativo di portare a casa l’autonomia. La pre-intesa del Veneto, per esempio, all’articolo 6 assegnava alla Regione «una compartecipazione al gettito o aliquote riservate relativamente all’Irpef» per finanziare i «fabbisogni di investimenti pubblici» anche «mediante forme di crediti di imposta con riferimento agli investimenti privati».

L’articolo 54 di quella stessa pre-intesa, istituiva delle «sezioni speciali» destinate al sostegno delle imprese «aventi sede operativa in Veneto». La pre-intesa della Lombardia non si discostava tanto da quella Veneta. L’articolo 25 di quel documento, intestava alla Regione tutte le competenze legislative e amministrative «di sostegno all’innovazione per i settori produttivi», obbligando lo Stato a definire una «quota di risorse da assegnare alla Regione» tenendo conto «delle agevolazioni alle imprese e agli enti di ricerca lombardi in forma di contributi a fondo perduto, contributi in conto interessi, concessioni di garanzia, finanziamenti agevolati», sempre da finanziare con la compartecipazione all’Irpef maturata nel territorio.

Nell’articolo 47 della bozza di intesa della Lombardia, si concedeva ampia libertà di «concedere incentivi, contributi, agevolazioni, sovvenzioni e benefici di qualsiasi genere, nel rispetto delle norme dell’Unione europea sugli aiuti di Stato». Quelle stesse norme che Germania e Francia ora hanno chiesto di ammorbidire. È evidente che se i territori più ricchi, con il maggior numero di imprese, il maggior gettito fiscale, decidono di fare da soli nella politica industriale, possono probabilmente competere con gli aiuti di Stato di Berlino e Parigi. Ma se ciò accadesse, è la domanda successiva, cosa accadrebbe alle imprese presenti sulla parte restante del territorio italiano? L’incentivo a trasferire le loro sedi al Nord sarebbe fortissimo. E in questo caso ci sarebbe poco da recriminare con la frammentazione dei Paesi europei. A finire in pezzi rischierebbe di essere la politica industriale unitaria dell’Italia. 

 

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