Auto elettrica, dopo la frenata della Ue l'industria italiana avverte: ora certezze o investimenti a rischio

Auto elettrica, dopo la frenata della Ue l'industria italiana avverte: ora certezze o investimenti a rischio
di Jacopo Orsini
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Lunedì 6 Marzo 2023, 14:24 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 16:03

Il rinvio dello stop alla vendita di auto a benzina o diesel a partire dal 2035 deciso dall’Europa - con il contributo determinante del governo italiano - dà più tempo al sistema industriale tricolore di organizzare la transizione all’elettrico. Le aziende e i sindacati ora però chiedono certezze, altrimenti - sottolineano - c’è il rischio di frenare gli investimenti e di mettere a rischio tutto il comparto delle quattroruote.

Il segnale

«Il rinvio è il segnale di una maggiore consapevolezza del problema da parte alcuni Stati, tra cui l’Italia, che credo però difficilmente metteranno in discussione le decisioni già prese - commenta Federico Visentin, presidente di Federmeccanica, l’associazione che riunisce le industrie metalmeccaniche -. C’è comunque bisogno di chiarezza, perché l’incertezza non aiuta a capire la direzione da prendere per investimenti che non possono essere rimandati a data da destinarsi. Con il rischio di aver poi solo perso tempo. Federmeccanica - prosegue Visentin - da tempo ha fatto presente quali possono essere i rischi e le opportunità. La nostra non è mai stata una battaglia di retroguardia, nel sostenere la cosiddetta neutralità tecnologica. La soluzione più giusta sarebbe affidarsi alla scienza per trovare soluzioni efficaci al fine di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale, che devono essere comunque per tutti noi l’assoluta priorità.

Si deve comunque agire a livello di Paese per mettere in campo quelle azioni di politica industriale necessarie per gestire la transizione senza subirla e occorre creare in casa grandi produttori puntando alla crescita dimensionale delle nostre imprese e nel frattempo attrarre grandi produttori in Italia, dove mancano i “rimorchiatori” in grado di alimentare la filiera».

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L'accelerazione

Da tempo il comparto dell’auto ha lanciato l’allarme sui rischi di una accelerazione nel passaggio all’elettrico. Senza una politica industriale dedicata alla transizione della filiera dell’auto - ha fatto notare l’Anfia, l’associazione dei produttori italiani - si metterebbero a rischio almeno 70mila posti di lavoro. È necessario quindi mettere in campo strumenti che siano in grado di accompagnare la riconversione industriale - insistono le aziende - in caso contrario molte imprese si ritroverebbero a dover ridurre gli investimenti a danno di un settore determinante per l’economia italiana. C’è infatti il problema della riconversione di tutta la componentistica dell’auto con il motore a scoppio. Chi costruisce serbatoio o marmitte inevitabilmente avrà sempre meno commessecon la transizione all’elettrico. Per questo l’Anfia chiede al governo di fare la sua parte e di finanziare progetti di riconversione industriale. Una strategia su cui anche il sindacato concorda. «Il motore elettrico assorbe meno manodopera», sottolinea Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim-Cisl. «Serve un fondo per attivare un processo di reindustrializzazione della componentistica».

Il regolamento

«Anfia sostiene lo sviluppo della mobilità elettrica purché la transizione all’elettrificazione sia accompagnata da adeguati strumenti di supporto agli investimenti delle imprese - afferma il direttore generale dell'associzaione, Gianmarco Giorda -. Abbiamo accolto favorevolmente la messa in discussione dell’approccio mono-tecnologico alla decarbonizzazione della mobilità di questi giorni e la possibile apertura agli eFuels, che riteniamo dovrebbe ampliarsi anche all’idrogeno e ai biocarburanti. Ci auguriamo, ora, che la decisione sulla proposta di Regolamento relativa ai nuovi target di CO2 per auto e veicoli commerciali leggeri non venga procrastinata troppo, per non creare ulteriore incertezza nella filiera produttiva e nel mercato. Tengo a sottolineare anche che le regolamentazioni sui target di CO2 e sul nuovo standard Euro 7, che riguarda le emissioni inquinanti, devono essere coordinate nei tempi e negli obiettivi. La proposta su Euro 7, così com’è concepita ora, è inaccettabile per timing e target e va profondamente rivista, perché rischia di distogliere importanti risorse da investire nel processo di decarbonizzazione della mobilità in cambio di uno scarso o nullo vantaggio ambientale e di una forte perdita di competitività dell’industria automotive europea».

La posizione

«Finalmente la politica sta ascoltando la voce delle imprese», osserva Giorgio Marsiaj, presidente dell’Unione Industriali di Torino. «Noi non siamo contrari all’elettrico - aggiunge - ma non vogliamo l’imposizione di una soluzione. Chiediamo la neutralità tecnologica». «La posizione delle imprese è chiara, per noi il termico non è finito» ma serve una politica industriale, italiana ed europea, e un «passaggio graduale, bisogna tenere conto della sostenibilità del progetto». «In Italia abbiamo un parco circolante molto vecchio, bisogna favorire la sostituzione di 15 milioni di vetture, ma non tutti possono permettersi l’auto elettrica», rileva ancora Mariaj.

«Dopo la grande illusione dell’ideologia “tutti in elettrico e subito” arriva un’importante pausa di riflessione», fa notare Federmotorizzazione, l’associazione che rappresenta gli interessi delle categorie del settore della mobilità, che accoglie con favore il rinvio di una decisione che «sconvolgerebbe il sistema automotive e uno dei principali indotti produttivi del nostro Paese».

«Quello che assolutamente non serve ora - avverte infine la Cisl - è alimentare un clima di ulteriore incertezza che rischia di frenare le scelte negli investimenti e sulle tecnologie, mettendo ancor di più a rischio l’occupazione».
 

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