Fra il vicepremier e Tria i rapporti sono ormai ai minimi. Roba da separati in casa. Il ministro, racconta chi ci ha parlato, si sente isolato, stanco, delegittimato. E la querelle sull'ingresso dello Stato in Alitalia, l'essere stato tagliato fuori riguardo a ciò che il ministero da lui guidato dovrebbe fare per salvare la compagnia aerea, è stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Dal Tesoro però assicurano che «su Alitalia non c'è stato alcuno scontro», che «è solo una costruzione giornalistica». Insomma: il ministro non sarebbe «in disaccordo sul piano di salvataggio, vorrebbe solo capire meglio».
Ma in molti sostengono che se Tria resta al suo posto, è solo per «carità di Patria». Perché al Quirinale gli è stato chiesto di resistere: non si cambia un ministro dell'Economia in piena sessione di bilancio. «E a maggior ragione non si cambia», dice un collega di governo neutrale, «quando sul Paese si abbattono le turbolenze dei mercati finanziari e i fulmini di Bruxelles».
Il problema è che anche Di Maio non ne può più. Con il ministro economico litiga da mesi, dal varo in luglio del decreto dignità. E ha continuato a bisticciarci su tutto: sui tecnici del Mef trattati come sabotatori, sulle nomine nelle partecipate, sulla nota di aggiornamento del Def con la battaglia all'ultimo sangue sul rapporto deficit-Pil, sulla composizione della manovra economica (il ministro vorrebbe rendere sperimentali e perciò provvisori reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero). E ora su Alitalia. Tant'è, che quando parla di Tria, il vicepremier 5stelle è solito tuonare: «Quello non riesce proprio a capire che c'è una maggioranza politica con un contratto di governo e un tecnico deve fare ciò che gli diciamo. Se non gli va bene, può andarsene...».
LO SCUDO
Tesi e invito non condivisi da Sergio Mattarella. Il capo dello Stato ha voluto Tria all'Economia per tenere la barra dritta, per difendere la tenuta dei conti e la sostenibilità del debito. E non ha intenzione di rinunciare a questo argine. Non di certo durante la sessione di bilancio, mentre in Europa e sui mercati finanziari infuria la guerra innescata dalle cifre della nota di aggiornamento del Def. E nei giorni in cui stanno per arrivare i giudizi delle agenzie di rating e sta per chiudersi l'ombrello della Bce: il quantitative easing che in questi anni ha tenuto basso lo spread e dunque contenuto la spesa per il finanziamento del debito.
Il problema, detto che Di Maio fa sapere che non sarà lui a chiedere il licenziamento di Tria, è che nel governo già si pensa al rimpasto di gennaio. Paolo Savona, ministro agli Affari europei, parla e si muove (giovedì è intervenuto in Parlamento al posto di Tria) come ministro dell'Economia. Ma sull'economista sardo pesano il no di Mattarella e le perplessità dei 5stelle. Così avanzano altri nomi. Quello di Gustavo Piga, professore anche lui a Tor Vergata (economia politica), con studi negli States. Ma anche quelli - che innescherebbero però un derby tra 5stelle e Lega - del viceministro leghista Massimo Garavaglia, giudicato competente e moderato, e di Andrea Roventini: l'economista che Di Maio inserì nella sua squadra di governo pre-elezioni.
GLI ALTRI A RISCHIO
Se rimpasto sarà, a gennaio potrebbero essere sostituiti anche il gaffeur Danilo Toninelli (Trasporti e Infrastrutture), Alberto Bonisoli (Cultura) giudicato poco incisivo da Di Maio e, nonostante le smentite, Elisabetta Trenta (Difesa) considerata troppo indipendente ed eccessivamente vicina ai militari cui i 5stelle vogliono tagliare i fondi per aerei ed elicotteri.
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